Vincenzo D’Amico compie sessant’anni. Per chi è innamorato di un calcio che non c’è più, “Vincenzino” è stato, è e resterà una vera e propria bandiera. 

Vincenzo D’amico. Da sempre legato alla Lazio, con cui ha vissuto varie epopee: dallo scudetto del 74 al rischio retrocessione in Serie C, quando guidando da Capitano un gruppo di “ragazzini” realizzò una tripletta allontanando gli spettri di un fallimento sportivo ed economico che avrebbe portato alla fine del club più antico della Capitale.

Ma il Vincenzo D’Amico calciatore l’hanno conosciuto tutti. Uno dei più grandi talenti che il pallone nostrano abbia mai conosciuto.  Quello che mi ha colpito, e che vorrei trasmettere, per quanto possibile, è l’umanità di questo eterno ragazzo.

Lo incontravo spesso in radio, nel campus dell’Università Niccolò Cusano. Ti bastava guardarlo negli occhi e ti sembrava di conoscerlo da sempre.  Sempre affettuoso con tutti, umile, scherzoso, sensibile.

Una cosa mi è rimasta particolarmente impressa: era inverno, pioveva. In radio con lui c’era Gabriella Grassi. Una volta usciti, questi due “Pezzi di Lazio” si resero conto di avere un solo ombrello. Io ero in macchina, loro non si accorsero che li stavo osservando. Li vidi camminare insieme, riparandosi dal temporale, in silenzio. Qualche decina di metri in cui alzando gli occhi ebbi modo di vedere la Lazio.

Quella Lazio in bianco e nero, impressa a ferro e fuoco nel cuore di tutti i suoi innamorati. Camminava lì, davanti a me, con Vincenzino che teneva l’ombrello di Gabriella, con il golden boy dai capelli ormai grigi ed una dirigente storica, che nella sua carriera ha vissuto praticamente tutte le fasi più importante che la Lazio si è ritrovata ad attraversare.

Detto questo, buon compleanno, Vincenzo. Avresti meritato un ritratto anche tu, anzi, soprattutto tu, nel giorno del centenario, in cui all’Olimpico si ritrovarono per festeggiare circa 70.000 persone. Non l’hai avuto e so che ci sei rimasto male. Ma sta tranquillo: nel cuore del tifoso biancoceleste, il tuo nome c’è scritto a fuoco. Vincenzo D’Amico. Una fetta di Lazio.