Sarebbe sbagliato considerare Eric Cantona solamente come un ex giocatore. Sì, perché Cantona non era soltanto un folle fuoriclasse. Cantona è stato anche altro. Cantona è stato un mondo a parte. E non è un caso se anche dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, ha continuato a far discutere, con apparizioni cinematografiche (fa se stesso nel film “Il mio amico Eric”), in politica, o come star pubblicitaria della Nike.
Il palmares di Eric Cantona è pieno di successi. Eppure quello che è stato uno dei più talentuosi attaccanti di sempre, inserito da Pelè nella lista Fifa dei migliori giocatori viventi, viene ricordato tanto per i suoi colpi da campione, quanto per il suo carattere burrascoso. Quasi criminale.
La storia di Eric Cantona batte il suo primo ciak alla periferia di Marsiglia, metropoli multietnica, inquieta, complicata. L’ultima scena, invece, ha come sfondo l’altra parte della Manica, e si svolge a Manchester per la precisione. Questo film che film non è, ha un protagonista indiscusso: Eric Cantona. Il duro che ha detto addio alla Francia per conquistare l’Inghilterra, e che con buona pace della Regina Elisabetta all’Old Trafford è riuscito a diventare il Re. The king.
E pensare che quando iniziò, da bambino, a giocare a calcio, il suo primo ruolo fu quello di portiere. Una passione che non poteva durare, uno spreco tecnico che avrebbe presto trovato la propria fine. E infatti quasi subito il giovane Cantona fu spostato sulla fascia. Maglia numero 7 sulle spalle, polmoni e fiato da vendere, tanta voglia di correre e di inventare.
Guy Roux, direttore tecnico dell’Auxerre e boss del calcio francese, sente parlare di lui: la notizia che dalle parti della Provenza, c’è un piccolo genio del pallone tanto forte quanto irascibile, fa in fretta il giro della Francia. Cantona, quindi, viene tesserato dall’Auxerre. E successivamente mandato a farsi le ossa altrove: Martigues, per la precisione, seconda divisione.
La Serie B francese è troppo poco per uno come lui. Così, anche se ancora giovanissimo, Eric Cantona torna ben presto all’Auxerre ed inizia a incantare i transalpini. Tanto da guadagnarsi la prima convocazione in Nazionale. Così, giusto per far partire quel rapporto con la maglia dei blues che non sarà mai tranquillo. Anzi, che farà sempre rima con tempesta.
Siamo nell’agosto del 1988, si manifesta l’occasione che Eric Cantona aspettava da tempo: l’Olympique Marsiglia è pronto a svenarsi pur di riportare Cantona dove era nato. Eric accetta la proposta del club di Tapie, ma nemmeno l’aria della Provenza lo aiuta a placare i suoi demoni interiori. Gennaio 1989, amichevole contro la Torpedo Mosca. Sostituzione, tocca a Cantona uscire. Nonostante sia una partita che non ha nulla da dire dal punto di vista del risultato, Cantona la prende malissimo: calcia il pallone in tribuna, si toglie la maglia e la butta per terra. Tapie si è già stancato delle bizze del francese. E non getta acqua sul fuoco. Anzi, commenta così: “E’ un gesto inqualificabile. Se ce ne sarà bisogno lo rinchiuderemo in una clinica psichiatrica”.
In psichiatria no. Sul mercato sì. Cantona viene ceduto nell’estate del 1989. Non a titolo definitivo, però. Perché a Marsiglia lo sanno bene. Cantona è matto, sì. Ma è un fenomeno. Bisogna provare a recuperarlo. Lo cedono in prestito, Bordeaux, poi al Montpellier con cui vince, praticamente da solo, una Coppa di Francia.
Dopo due anni provano a farlo tornare a Marsiglia. Niente da fare, però. La scintilla, non scocca. Nel novembre 1992, dopo una grande parentesi in Inghilterra con la maglia del Leeds, con cui vince lo scudetto, Cupido scocca la freccia. E’ tempo di innamorarsi. E’ tempo di entrare nella storia. Arriva l’offerta del Manchester United, 1 milione e 200 mila sterline. Una cifra anche piuttosto contenuta per uno con quel talento, una cifra che Sir Alex Ferguson è disposto ad investire, anche se è come tutti consapevole dei problemi comportamentali del ragazzo.
L’investimento verrà ripagato. Non subito, però. Perché Sir Alex ci sa fare. E prima di gettarlo nella mischia, ci tiene a pungolare il suo campione: “Mi chiedo se tu sia abbastanza forte per giocare ad Old Trafford”, è solito ripetergli. E la risposta di Cantona non si è fatta attendere. 4 Premier League e due Coppe d’Inghilterra, 64 gol in 140 match con la maglia rossa dello United, rigorosamente con l’inconfondibile colletto alzato. E con la solita infinità di cartellini gialli e rossi.
Mentre gioca con il Manchester, ne fa di cotte e di crude. Una ha anche la malsana idea di scatenare un parapiglia in casa del Galatasaray, ad Istanbul, non propriamente un posto tranquillo. Viene espulso dall’arbitro, nel tunnel degli spogliatoi le sue intemperanze devono essere fermate addirittura dalla carica di due poliziotti. Eric da spettacolo. In campo e fuori. Non perde mai occasione di dimostrarlo.
“Il meglio deve ancora venire”, canterà Ligabue diversi anni dopo. Per Cantona, più o meno, vale lo stesso. 25 gennaio 1995. Cantona viene espulso per aver colpito Richard Shaw, difensore del Palace, mandato in campo con l’unico fine di provocarlo. I tifosi del Palace, insultano Eric mentre sta uscendo dal terreno di gioco. Ce n’è uno più scatenato degli altri, a dirla tutta. Si chiama Matthew Simmons. I suoi insulti sono abbastanza comuni: eppure, Cantona, non ci sta. Va verso Simmons, si alza in volo e incredibilmente, con un colpo di kung fu colpisce al volto il tifoso del Palace. Una scena mai vista, che gli appassionati di calcio, ancora oggi, ricordano con stupore.
Dopo questo gesto, Cantona verrà squalificato per otto mesi. Ha la forza di ripartire, ma è come se qualcosa si fosse rotto, per sempre, nel suo rapporto col calcio giocato a grandissimi livelli. Arriva così l’uscita di scena discreta, con quell’assist di “rabona” per Yordi Cruyff, figlio del suo unico mito d’infanzia.
Quando si ritira non ha neanche 31 anni. I tifosi, consapevoli di aver potuto ammirare uno dei calciatori più forti della storia, si disperano e ringraziano: “Il Re se n’è andato, lunga vita al Re», recitano i cori e gli striscioni. E’ finita la carriera di un calciatore. E’ iniziata la vita di una leggenda.