Ci sono nomi che alla grande massa non dicono molto e che invece per alcuni sono già culto. È il caso del cantautore Paolo Benvegnù, ex leader degli Scisma, osannato dal circuito indie italiano ed in procinto di beatificazione con questo nuovo lavoro che si intitola “Earth Hotel”. Di San Paolo già ce n’è ma, iperboli a parte, si tratta davvero dell’ennesimo grande lavoro di un grande artista. Siccome a noi i confini piacciono poco e le etichette ancor di meno, tentiamo di tirarlo fuori di peso dalla sua nicchia per regalarlo a chiunque avrà voglia di goderselo. Come? Chiacchierando di musica con lui.

Quattro album in dieci anni. È chiaro che i dischi li pubblichi solo quando sei davvero convinto…
Paolo Benvegnù – Non saprei fare altrimenti. È una questione di necessarietà, preferisco anche buttare via tutto se non sono convinto e, infatti, in questi anni, l’ho fatto diverse volte.

Da quale grande pittore del passato faresti dipingere il tuo ultimo lavoro “Earth Hotel”?  Van Gogh?
Paolo Benvegnù – Van Gogh sarebbe un’ambizione altissima, in pochi sono riusciti a raggiungere una tale disperazione creativa. Direi che, rimanendo più dalle nostre parti, non sarebbe male avere il pennello di Ligabue. Il pittore, ovviamente, non la famiglia di musicisti a cui comunque va il mio rispetto.

Il video di “Una nuova innocenza” è praticamente un cortometraggio. Ci spieghi meglio l’idea che c’è dietro?
Paolo Benvegnù – L’idea è semplice… ho dato mandato a Mauro Talamonti di fare quello che più si sentiva e il risultato è ciò che vedete tutti. Lui, per esigenze personali di lavoro, è a Bangkok e da là ha fatto i casting ed ha girato questo lavoro che mi rappresenta bene.

Tu non ami molto apparire vero?
Paolo Benvegnù – Epicuro diceva che “nascosto vivi”.

Incuriosisce il titolo “Piccola pornografia urbana”. Di cosa parla la canzone?
Paolo Benvegnù – La prima lettura è quella di una storia d’amore tormentata ma la seconda è più una suggestione sul nostro rapporto di dipendenza col prossimo e con le nostre tante sfaccettature. Abbiamo un io desiderato, un io mostrato nei social, un altro sfoggiato nelle foto. Adesso che vivo a Città di Castello ho scoperto, per esempio, che scattarsi una foto si dice “arsomiglio”, cioè non sei proprio tu ma uno che ti somiglia molto. È un concetto affascinante no?

A fine mese parti per un tour molto intenso che si concluderà a fine gennaio. Quanto è importante questo tipo di promozione per un artista indipendente?
Paolo Benvegnù – Più che altro è stupefacente. Siamo come cuochi che preparano un piatto in un posto e poi hanno l’occasione di farlo assaggiare in giro per l’Italia.

A distanza di qualche anno, che emozione è avere una propria canzone cantata da Mina?
Paolo Benvegnù – E’ come appartenere per un attimo all’infinito. Tra l’altro sua figlia, Benedetta, mi ha invitato, quando sarò in Svizzera, a mangiare le polpette della madre. È decisamente una prospettiva accattivante. Prima o poi capiterà.

Da un po’ di tempo hai i capelli bianchi, eppure scrivi dischi sempre più belli e la gente continua a seguirti sempre di più. Allora gli artisti non scadono a 30 anni come sostiene una certa discografia…
Paolo Benvegnù – Beh, David Bowie qualcosa da dire ancora ce l’ha no? La verità è che la discografia delle major si sta autodistruggendo e uno dei modi con cui ci riesce a farlo meglio è evitando sistematicamente ragionamenti di medio o lungo termine.

Credi che anche nel mondo dell’autorato ci sia una differenza tra indie e main o là i confini sono più labili?
Paolo Benvegnù – Credo che ognuno sia fatto a modo suo. Io non ho mai scritto per qualcun altro ma solo per me stesso e mio padre che non c’è più da qualche anno. E’ capitato che qualche artista mi sia venuto a chiedere una canzone ma è ben diverso da chi ha la capacità di scrivere a comando.