Era il 1990. Più precisamente, era il 13 maggio del 1990. Gli anni 80 che se ne erano appena andati via, avevano lasciato in dote tante canzoni stupende, che ancora oggi riescono a farci sognare. Ma anche tanto odio, pronto ad esplodere, da un momento all’altro, in vari angoli del pianeta. Bastava un pretesto per farlo bruciare. Un pretesto puro e semplice. Che poteva essere anche una partita di calcio.
Pensate il clima che si poteva respirare, in quel 13 maggio 1990, allo Stadio Maksimir di Zagabria. Scendevano in campo la squadra della capitale croata, la Dinamo e quella della capitale serba(oltre al Partizan),la Stella Rossa.
In campo spettacolo assicurato. Da una parte il genio di Dejan Savicevic, che poi diventerà Re con la maglia del Milan, e altri elementi tipo Robert Prosinecki e Stojkovic. Dall’altra due giovanissimi fuoriclasse, il ventenne capitano Zvonimir Boban e la punta Davor Suker.
Chiediamo scusa. Avremmo dovuto dire, lo spettacolo in campo non sarebbe mancato. Condizionale d’obbligo. Già, perché quel match non sarà mai disputato a causa dei clamorosi incidenti che si verificarono dentro e fuori dallo stadio.
Una partita che non c’è stata, ma che ha cambiato la storia. E non stiamo esagerando. Non contava nulla per la classifica, non c’era nessuna coppa in palio. C’era da giocarsi un qualcosa che andava ben al di là di una partita di pallone.
C’era un confronto tra due popoli, quello Croato che aveva appena eletto il nazionalista Franjo Tudman a proprio leader, e quello Serbo, guidato dal socialista Milosevic. Un confronto destinato a diventare guerra senza codici né regole.
“La guerra è iniziata al Maksimir”, c’era scritto questo su uno striscione esposto dai Bad Blue Boys (BBB) allo stadio in quella giornata. La guerra, quella vera con gli eserciti in campo, in realtà prenderà vita l’anno dopo e durerà sessanta mesi, ma in quel tredici maggio sono andate in scena le prove generali.
“Per i seguaci della squadra, che incominciarono la guerra con la Serbia in questo stadio il 13 di maggio del 1990”. Così recitava l’epigrafe di una statua raffigurante un gruppo di soldati collocata in prossimità del Maksimir.
Da un lato i Bad Blue Boys, sostenitori della Dinamo. Dall’altra i Delije, gli ultras della Stella Rossa. Iniziarono a fronteggiarsi come fossero due eserciti veri e propri.
Per capire la portata degli scontri, per capire di cosa stiamo parlando, sarà sufficiente ricordare che il leader degli ultras della Stella Rossa era un certo Zelljko Raznatovic. Quello destinato a diventare il comandante Arkan. La tigre di Belgrado.
Allo stadio, in quel 13 maggio, c’erano 20.000 persone. Poche, a dirla tutta, se analizzassimo distrattamente solo gli aspetti numerici. Ma si trattava di 20.000 persone pronte ad affermare il proprio credo politico, la propria ragione, al di là di parole, cori o striscioni. Bastava il minimo screzio, la minima scintilla, per scatenare una vera e propria guerriglia.
I supporters ospiti, secondo alcuni provocati, iniziarono a devastare tutto ciò che gli capitasse a tiro, dai seggiolini ai cartelli pubblicitari lanciandoli in direzioni degli odiati rivali. La polizia, in maggioranza serba e mal equipaggiata, decise all’inizio di non intervenire.
Per poi cambiare idea quando i sostenitori della Stella Rossa scavalcarono le recinzioni e si riversarono in campo. Lo fece con una furia cieca ed incontrollata. Quasi tutti i calciatori cercarono riparo negli spogliatoi. Non Boban, che ebbe modo di affermare: “Sarei stato pronto, da personaggio pubblico, a perdere carriera, fama, soldi, prestigio. Lo avrei fatto per una giusta causa. Quella del popolo croato”.
Boban ebbe modo di vedere la furia cieca dei poliziotti, che picchiarono indistintamente giovani, donne e bambini. Allora decise di intervenire: “Vergognatevi, state massacrando civili inermi”, e per tutta risposta, sempre dalla polizia serba, ricevette insulti e due manganellate: “Stai zitto figlio di puttana, sei come tutti gli altri”.
Sembra difficile a crederci guardandolo oggi, ma in quella giornata anche il pacifico “Zorro“, destinato poi a vincere tutto con il Milan a metà degli anni 90, perse la testa. Rincorse un agente e gli sferrò una ginocchiata in pieno volto. Le immagini fecero il giro del mondo. Boban divenne un eroe nazionale. Fu squalificato per un anno, costretto a rinunciare ai mondiali, senza mai pentirsi di quel gesto che anzi, in patria, gli valse encomi e titoli di giornale.
Dopo questa partita mai giocata il calcio slavo, come l’intera federazione, entrò in crisi, regalandosi qualche sussulto (la Coppa dei Campioni vinta dalla Stella Rossa l’anno dopo) prima del buio più totale. Ancora oggi i Balcani sono terra fertile, piena di talento. Anni di guerra civile hanno distrutto molto, non certo la classe, il coraggio, la personalità, l’orgoglio. Certe cose, da quelle parti, ce l’hanno nel DNA. E li le conserveranno per sempre.