Su Radio Cusano Campus, negli ultimi giorni, durante il format ECG Regione si è parlato di dipendenze. Dipendenze che possono essere da sostanza (droga o altri stupefacenti) ma anche da gioco (ludopatia). 

Per approfondire la questione siamo andati al CEIS, Centro di Solidarietà Don Armando Picchi. E abbiamo incontrato due ragazzi che hanno perso tutto. Uno a causa della cocaina era diventato addirittura uno spacciatore abituale. L’altro, per il gioco, ha dovuto rinunciare al lavoro, alla carriera, all’affetto della moglie e dei figli.

A un certo punto, però, entrambi hanno deciso di riprendere in mano la propria vita. Hanno trovato il coraggio di chiedere aiuto. E grazie alla loro forza di volontà e alla comunità stanno riuscendo a sconfiggere i propri demoni.

Partiamo da Fabio. Circa quarant’anni. Occhi scuri come la notte, una barba folta, il volto segnato dalle brutte esperienze passate.

“Ho iniziato a drogarmi a 12-13 anni. Con gli spinelli. Ben presto sono passato alla cocaina. Dopo qualche tempo ne sono diventato completamente dipendente. Mi ha portato a rinunciare ad amicizie, ad amori, ne ho fatto uso anche a lavoro, ma fortunatamente non mi hanno mai scoperto. Poi ho iniziato a spacciare. All’inizio piccoli quantitativi, solo per non pagare la roba. Poi il gioco s’è fatto più grande. Sono stato anche dentro, per due notti e tre giorni. Incontrando la mia attuale compagna ho deciso di chiudere con lo spaccio, ma sono rimasto un consumatore abituale. E’ stata lei, che col tempo, mi ha convinto a chiedere aiuto. A venire in comunità. All’inizio è stata dura. Adesso ne sto uscendo”.

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Una droga legalizzata, che stato e criminalità organizzata sfruttano per dare liquidità alle proprie casse, è anche il gioco d’azzardo. I ludopatici sono in costante aumento. L’Italia è la nazione in cui i “Malati di gioco” sono più numerosi al mondo. La ludopatia è una malattia subdola. Non si vede all’inizio. Poi deflagra. E rovina la vita di migliaia di persone. E delle loro famiglie.

Ce lo dimostra la storia di Claudio. Timido. Sulla cinquantina. Evidentemente imbarazzato per quello che ha fatto. Di cui si è pentito. E per cui ha chiesto perdono a tutti. In particolar modo al figlio, che però, per ora, non ha più intenzione di vederlo.

“Mia figlia mi ha perdonato. Mi ha reso nonno ed ora una volta ogni due giorni mi dà la possibilità di vedere la mia nipotina. Ma mio figlio no. Mi ha detto che per lui non più suo padre. Spero che possa cambiare idea”.

E lo speriamo anche noi. Perché Claudio è cambiato. Al CEIS si sta facendo aiutare. Sta sconfiggendo un demone che lo tormenta da trent’anni.

“Ho iniziato a giocare alle slot machines da giovanissimo. All’inizio era un passatempo. Poi è diventata una droga. Se avevo dei soldi in mano, dovevo andare a giocarmeli. Ci ho speso stipendi, migliaia e migliaia di euro, senza vincere mai. Che poi, anche quando vincono, quelli come me si rigiocano tutto. Fino all’ultimo centesimo. Ero dirigente di un’azienda che vende mobili. Gli ho rubato l’incasso, due volte. La prima mi hanno perdonato. La seconda, ovviamente, no. Ho rubato dei soldi anche a mio padre, per andare a giocare alle macchinette. E’ impossibile immaginare il punto cui ero riuscito ad arrivare. Mi sono rivolto anche agli usurai. Mi hanno prestato 1000 euro, gliene ho dovuti ridare 4000. Ora sto guarendo. La comunità è determinante per risolvere certi problemi”.

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