È inutile negarlo a dispetto dell’evidenza, l’italiano sul posto di lavoro ha la pericolosa tendenza a fare un pochino il furbo. Le aziende di casa nostra hanno dovuto porre un argine, o almeno ci hanno provato, imponendo ad esempio restrizioni in fatto di accesso a particolari siti internet, quelli preferiti dai lavoratori che tra Facebook, Twitter, Instagram, applicazioni varie e messaggistica perdono ore ed ore in fatto di produttività. In molti casi, però, il tentativo è rimasto tale e si è rivelato vano. Il dato spiega perché: il 32% dei lavoratori italiani riesce ad aggirare le restrizioni di accesso ad internet che la sua azienda gli impone, ma non è tutto. Se ci concentrassimo su una fascia di età relativamente bassa, tra i 18 e i 34 anni, la percentuale sale dal 32 al 49%. È OnePoll a sostenerlo dopo aver analizzato i dati di uno studio commissionato da Samsung e che ha coinvolto 4.500 persone divise in 7 paesi europei (Italia, Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna, Belgio e Olanda).

C’è da dire, come parziale giustificazione, che nelle altre nazioni prese in esame i numeri non sono così differenti: in Germania gli aggiratori delle disposizioni aziendali si attestano sul 34%, il 32% in Spagna, il 31% in Belgio e Olanda. I più indisciplinati sono gli inglesi (41%), mentre i francesi (20%) si distinguono per il rispetto delle norme aziendali.

”Dal punto di vista della sicurezza, è comprensibile che i datori di lavoro vogliano controllare l’uso della tecnologia da parte dei propri dipendenti”, commenta Dimitrios Tsivrikos, Consumer and Business Psychologist allo University College London. ”Se però questo si traduce nell’ignorare le esigenze del professionista moderno, le aziende potrebbero andare incontro a un calo di produttività e di coinvolgimento”.