Vincenzo Nibali. Un nome ormai entrato nella storia del ciclismo e dello sport italiano. Dove nasce lo squalo. Da dove viene questo ragazzo con la faccia umile e un carattere da numero 1, che ieri è diventato il Re della Francia, vincendo la più importante corsa a tappe del mondo.Sono due i luoghi che raccontano questo atleta e la sua storia. Il primo è la cartolibreria di Messina gestita dai suoi genitori.  Da questo posto è iniziato tutto.

In un’intervista al Corriere della Sera, sua madre ha rivelato di averlo messo su una bici perché Vincenzo era un bambino irrefrenabile, ostinato. Proprio per caso, sulle due ruote, ha immediatamente scoperto di avere un talento straordinario, che sarebbe stato folle gettare al vento.

Coraggio e furia, attaccare sempre. Lo descrive così Vanity Fair: la strada, i chilometri, gli avversari. E’ così che Vincenzo è diventato lo Squalo. “Quando mi ha detto che voleva smettere, gli ho fatto cambiare idea con un ceffone”, ha raccontato il papà.

Alla mamma, lo Squalo ha donato la prima maglia rosa del suo trionfale Giro del 2013.

Il secondo luogo è Lamporecchio, in provincia di Pistoia, dove è arrivato da ragazzino, dove ha iniziato a fare il ciclista dilettante, dove poi è diventato prima professionista e infine campione.

Qui ha sede il suo fan club (i Can-nibali), ogni successo viene celebrato da tutto il paese, di cui Nibali è il figlio adottivo che riempie tutti di orgoglio.

A guardare quel volto umile e soddisfatto in trionfo sui Campi Elisi,  con la Francia ai piedi, viene da sorridere. C’è ancora un’Italia che va. Che lavora in silenzio. Che fa sacrifici. Che ci prova. Che combatte. E che qualche volta, vince.

Un’Italia diversa da quella dei Balotelli e dei Cassano. Un’Italia che non si autocelebra prima per poi rischiare di finire schiacciata dalla sua stessa spacconaggine. Un’Italia sobria, pacata, vincente. Senza meches, colpi di sole, veline e letterine varie, comportamenti da “coatti di periferia”, o social network da intasare a colpi di tweet, foto o proclami.

Un’Italia che pedala. Nel senso letterale e metaforico del termine. Che si è stancata di stare all’ultimo banco. E che vuole tornare ad essere locomotiva. D’Europa. E non solo.