Continua ad esserci troppo arsenico nelle acque del Lazio: l’Unione Europea, a distanza di tredici mesi dalla terza deroga triennale concessa all’Italia, ha dato attuazione con una lettera di costituzione in mora a una procedura di infrazione per la contaminazione dell’acqua potabile. 
Sono trentasette le zone in cui non sono ancora rispettati i limiti previsti dalla direttiva Ue: dovrebbe trattarsi del Viterbese e forse di qualche area a nord di Roma. L’Italia, che ha già usufruito del numero di deroghe massimo,  e che oltre a fornire agli utenti informazioni adeguate su come ridurre i rischi associati al consumo dell’acqua, era tenuta ad attuare un piano di azioni correttive e a informare la Commissione in merito ai progressi compiuti.

La Regione Lazio, attendendo di poter leggere integralmente il documento di Bruxelles, ha ribadito nelle ultime ore di stare gestendo in questo senso un piano da circa 40 milioni per riportare l’acqua entro i livelli previsti dalla normativa.

A mettere in particolare evidenza la procedura di infrazione sono i Radicali, che a giugno  tornarono a sollecitare le istituzioni comunitarie a proposito di questo tema.

La vicenda nasce con la direttiva 98/83, recepita nel 2001, con la quale il livello di arsenico accettabile è stato abbassato da 50 microgrammi/litro a 10 microgrammi/litro, ponendo in un solo colpo “fuorilegge” diverse zone della Penisola, in particolare il Viterbese, dove la concentrazione di arsenico rappresenta ormai un problema cronico.

Poco tempo ancora, dunque, per il nostro Paese: bisogna mettersi in regola. Altrimenti non solo continuerà ad essere impossibile bere acqua in determinate zone della penisola italiana, ma arriveranno multe sempre più salate. Che ovviamente andranno a pagare, indirettamente, i cittadini. Cornuti e mazziati, come si suol dire. Costretti a pagare per colpe che non hanno.