A volte accade. Accade che la televisione di Stato si ricordi di assolvere al proprio compito di informare i cittadini attraverso prodotti che i competitor commerciali schivano in quanto scomodi e che invece i cittadini hanno il diritto (e forse il dovere) di vedere. È il caso del documentario di Francesco Cordio, “Lo Stato della Follia”, che questa sera andrà in onda alle 23.50 su Rai Tre. Una toccante inchiesta sui famigerati OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) al cui interno vivono ben 1500 persone in condizioni molto lontane dall’umanità e con una prospettiva di futuro quasi nulla. E’ lo stesso regista a spiegare le genesi di questo viaggio visivo dentro l’inferno della nostra società.

Come ti sei avvicinato a questo tema?
Nel novembre del 2010 sono stato invitato dalla Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale a realizzare un breve documento video sullo stato degli O.P.G. Come quasi tutti gli italiani, ammetto che non sapevo cosa fossero. Si trattava di manicomi? Impossibile: i manicomi erano chiusi ormai da più di trent’anni! Luoghi di cura? Il dubbio mi avrebbe accompagnato ancora per poco.

Perché? Cosa hai visto?
Il primo impatto è stato devastante: celle piccole e sporche, servizi igienici rotti, puzza di piscio ovunque. Gli internati, liberi per i corridoi, ci sono apparsi decisamente innocui, nonostante gli avvertimenti della polizia penitenziaria e dei N.A.S. al seguito della Commissione.
Alla vista delle telecamere hanno anzi cominciato a venirci incontro, alcuni raccontandoci la loro storia, altri chiedendo aiuto, altri ancora, imbottiti di farmaci, si limitavano ad osservarci con sguardo supplichevole dal fondo dei loro letti sudici. Avvertivo la necessità di fare ore di riprese, corridoio per corridoio, cella per cella, internato per internato.

Ti sei quindi trovato di fronte ad un lavoro ben diverso da quello che credevi di dover svolgere…
Quello che avrebbe dovuto essere un documento visivo di un’inchiesta è divenuto una metaforica Tac al sistema Sanitario gravemente ammalato di una malattia da sempre ignorata e/o trascurata. Gli internati in fondo ci hanno davvero preso a sganassoni come ci avevano prospettato alcuni addetti ai lavori ma non certo con le mani. Sono state le loro storie a farci male.

L’Io Narrante de “Lo Stato della Follia” merita una sottolineatura.
Nel documentarmi sulla questione O.P.G. ho conosciuto il caso di Luigi Rigoni, un attore, ex-internato ad Aversa. Come me, anche Luigi non aveva mai sentito parlare di un ospedale psichiatrico giudiziario ma lui, a differenza mia, ci si era trovato rinchiuso da un giorno all’altro senza neanche aver ben capito perché. E così ho avuto la fortuna di potermi appoggiare al suo talento per mostrare allo spettatore un uomo che decide di lasciarci in eredità la sua storia vera, a futura memoria, affinché avventure di questo tipo, viaggi nell’inferno senza ritorno, non accadano più a nessuno.

Come mai, nonostante la tuia opera sia stata realizzata ormai da un po’ di tempo, finisce in televisione adesso?
Perché l’attualità, purtroppo, racconta che viene deciso di chiudere gli O.P.G. nel 2013 ma, nel silenzio delle istituzioni, questa chiusura viene rimandata al 2015.

Questo film a chi lo vuoi dedicare?
A tutte le persone come Luigi Rigoni che hanno resistito per raccontarlo. E a tutte le persone che invece hanno deciso con lucidità di porre fine alla loro vita dentro l’ospedale psichiatrico giudiziario, che hanno ritenuto l’uccidersi l’unico modo per uscire dall’O.P.G.

QUI il SITO UFFICIALE del film