Gli Aveaò. Li ascolti in un Live in cui sei finito a fare da spettatore quasi per caso. Attaccano con il primo brano e pensi: “Bene, la mia serata non sarà poi così malvagia”. Attaccano con la seconda canzone e te ne innamori. Istantanei e ricercati al tempo stesso, popolari ed elitari nello stesso istante, con una proposta musicale innovativa nella sua tradizionalità, Una band, quella che abbiamo incontrato oggi, destinata a far strada. Molta strada.
Voi siete gli Ave Aò: già il nome dice tutto
E’ una domanda che suggerisce una risposta breve? Ti rispondo provando a spiegare il nome allora. La prima bozza di questo risale ai miei primi scritti a dire il vero, quelli che trattavano male il lato oscuro della Chiesa. C’è dentro un po’ di Emanuela Orlandi, dell’omertà mascherata e ben pagata, di teschi dentro le mura e di quel che rimaneva di una guerra di pensiero, la stessa che nel periodo di G.P. II° si polverizzò, insieme al Muro di Berlino. ‘Ave’ come un saluto quindi, quello stesso usato nelle comuni e arcaiche preghiere o piuttosto dai gladiatori ‘morituri’ a rendere omaggio all’imperatore con la loro morte. Oppure tra la povera gente, quando ancora c’era distanza e non era così comune stringersi la mano. E allora ’Aò’, come a rispondere di pancia: ‘ma quindi Ave de che?’… Tanti di quei brani sono ancora in un cassetto, l’unico (al momento) che ha visto luce tra questi è ‘Gerusalemme’. Ma poi si sa, quello che arriva, quando arriva, cambia in ognuno di noi, una canzone o una parolaccia o una poesia e così quello stesso nome.‘Ave Aò’, quello che ha ritrovato oggi nella sua stessa natura la semplicità e un giusto equilibrio. Un vecchio saluto romano, quello che evoca rispetto e sacralità e poi il nuovo, il moderno, quello che la distrugge. E’ su questa base che ogni brano si compie.
Che tipo di musica proponente e come mai avete scelto di cimentarvi proprio in questo settore?
E’ sempre la domanda più difficile alla quale rispondere, quella del ‘tipo’ o del ‘genere’ intendo. Si è dovuto confinare per stereotipi il genere in un folk rock. Gli arrangiamenti sono ricchi di contaminazioni, così come la territorialità di ogni elemento del gruppo. Penso che la fortuna nasca dall’istinto in questo caso però e questo credo possa svelare la risposta sia alla tua prima domanda, che alla seconda. Se qualcosa fosse stato pensato a priori, si sarebbero palesati rischi troppo alti, con la conseguente impossibilità logica di superarli. Le contaminazioni sono un riflesso prezioso, ma anche distruttivo se incastrate forzatamente. Oggi invece la bellezza di aver istintivamente unito un’Irlanda con una Sicilia ha demolito le critiche e reso questo gioco un elemento caratterizzante della nostra musica. Di conseguenza, anche a noi piacerebbe sapere in quale vero settore ci stiamo cimentando! In questo caso è il romanesco a risolvere il dilemma: contamina, fai rock, fai folk, ma magna popolare e poi… canta come magni!
Siete una band molto numerosa e avete tutti storie differenti…E’ difficile la convivenza?
SI: fa parte del gioco e della vita. Non si può piacere a tutti in genere e i punti di vista sono sempre e fortunatamente tanti. L’incontro con una persona è sempre una forma indefinita, che sta alla praticità e all’intelligenza di ognuno risolvere, un po’ come le contaminazioni o le culture di provenienza. Si cammina insieme. C’è chi si stanca facilmente, chi tira avanti aiutando gli altri, chi ha sete, chi mangia prima, chi ha appena ricevuto una brutta notizia riflettendo il suo stato d’animo suonando troppo forte, chi si complimenta, chi tace, chi annuisce, chi parla fino alle quattro del mattino, chi risponde a un’intervista…NO: gli Ave Aò nascono con me, con i miei istinti e le mie difficoltà. Inconsciamente e in modo tacito, credo di aver trasmesso e dettato regole basate sulla fiducia e sulla responsabilità, approfittando forse della confusione iniziale e della stima a credito che posso aver ricevuto regalando loro le mie parole, le mie paure se vuoi, le mie insicurezze forse. Ma solo questo sarebbe stato troppo facile, troppo poco e poco democratico.Non cercavo turnisti o a dirla tutta… non cercavo.Ma questo che all’inizio poteva sembrare un limite, oggi riflette non un mondo, ma almeno sette, meravigliosi. Poi come fai a dire di ‘no’ a una Margherita davanti ad un bicchiere di vino a San Lorenzo?… Come dire ‘no’ alla curiosità di un Claudio, alla pazienza di un Fabio, al rock di un Bruno, agli insegnamenti di una Catia o alle percussioni di un Simone?…Non ho mai creduto in un destino e molti testi credo che inconsciamente portino avanti la ricerca di questo piccolo dramma. Ma questa è un’altra storia che gli Ave Aò hanno cominciato a mettere nuovamente in discussione.
Talent show e stelline della musica che nascono in tv. Qual è il pensiero di chi, come voi, ha fatto tanta gavetta tra locali e serate tra la gente?
Credo che in tutto ci sia un punto di rottura (anche di palle!…), oltre il quale i palchi diventano più grandi è vero, così come però la distanza fisica dal pubblico che segue. La chiamano distanza di sicurezza o tv se vuoi, io la chiamo distanza e basta. Ora, senza ostentare, credo ci sia una palese differenza (oltre a quella del numero di persone certo): manca l’inizio, la paura o il menefreghismo del giudizio e non mi riferisco a quello dei giornali, ma a quello del sorriso delle persone che riesci a guardare negli occhi, o quello dei passi di chi si alza e se ne va, dispiaciuto, perché domani lo aspetterà la sveglia sul presto. Sono cose imperdibili e te lo sta dicendo un sociopatico cronico.C’è l’arte di saper valutare l’Arte, cosa alla quale io però non credo. E poi ci sono le lacrime di un padre, che accontentando la figlia portandola a un nostro concerto, ha ringraziato abbracciandomi. Non ci aveva mai ascoltato prima, ma è stato capace di raccontarmi di come una nostra canzone avesse potuto riflettere il ricordo di sua moglie, risorta in qualche modo grazie alle emozioni provate quella sera. Sono state parole forti, ti assicuro e ha potuto raccontarmele, come un bel regalo.In qualche modo è stata una resa di emozioni che tornando indietro ha reso liberi e orgogliosi d’averci provato. Posso dirti che mi dispiace. Mi dispiace che la musica o meglio, il mondo di produzione musicale possa fregarsene spesso di tutto questo e che ancora rime come cuore e amore riescano a render fama e soldi. Ma anche una velina fa più soldi di un ingegnere o di un medico. Così sembra andare il mondo. E’ così però che ci piace marciare, al contrario, per poi rompere le righe, per ogni canzone, in ogni concerto. Mi auguro possa arrivare anche per noi quel punto di rottura certo, ma anche di avere davanti le stesse persone che hanno sostenuto i nostri sforzi ora, quelle per le quali saremo noi ad applaudire.