Roma, Stadio Olimpico, 21 giugno 1987. C’è una squadra con un piede e mezzo in Serie C.  Una squadra che è partita con nove punti di penalità. E che ha giocato un intero campionato combattendo contro una penalizzazione che sembrava già una condanna. La guida un allenatore, che prima di essere un ottimo Mister, è un grande uomo. Si chiama Eugenio Fascetti. Lui, ad inizio stagione, l’ha detto chiaramente: “Chi non se la sente alzi la mano e si chiami fuori”. I calciatori restarono tutti. Sono passati ventisette anni, ma a ripensarci oggi sembra trascorso un secolo.

Com’è diverso, questo mondo del pallone, ormai fatto di mercenari strapagati che vivono in un pianeta tutto loro, lontani dal popolo, dalla gente, circondati da starlette da due spicci, macchine di lusso, preparatori atletici “Ivan Drago Style” , senza cuore, senza anima, senza sentimenti. Con le Pay Tv che fanno il bello e il cattivo tempo e il calcio che sembra essere diventato un prodotto tipo Grande Fratello, più che uno sport per uomini e atleti veri.

Era il 21 giugno 1987, dicevamo. Lo Stadio Olimpico di Roma era gremito in ogni ordine di posto. I tifosi erano accorsi nell’impianto non per una finale di Coppa e nemmeno per una partita che poteva valere uno scudetto. No. La Serie era quella cadetta. E dietro l’angolo c’era addirittura lo spettro della retrocessione in C.  Per il club più antico di Roma, che da lì a qualche anno avrebbe conosciuto l’era dei trionfi targati Cragnotti, sarebbe stata la fine.

Il risultato di quella partita nervosa, contratta, con una tensione che arrivava alle stelle, era sullo zero a zero. Un verdetto che avrebbe condannato la Lazio. Mancavano una manciata di minuti alla fine. Calciatori e tifosi stremati dalla sofferenza, dal caldo, dalla paura. Un cross in area di rigore.

Un tiro sbagliato. Un bomber che si improvvisa angelo, che diventa leggenda, che controlla il pallone spalle alle porta, si gira, lo colpisce con la punta del piede e lo mette alle spalle del portiere.

Il delirio che prende forma sulle tribune dell’Olimpico. Un boato sovrumano che sommerge la voce dei radiocronisti. Tante coronarie ad un passo dall’esplosione. Gente che si accascia dall’emozione. Per una rete che non regala trofei, no. Per una rete che garantisce la sopravvivenza. Gli spareggi, che poi la Lazio vincerà, con Taranto e Campobasso.

Storie di un calcio che non esiste più. Istantanee indelebili che i supporters biancocelesti non avranno mai modo di scordare. E che a tutti gli appassionati di questo gioco che ormai non è più un gioco, al di là dei colori, farà senza dubbio piacere ricordare.