C’è un bambino di nove anni che si chiama Danilo. Danilo è nato con la sindrome di Down e negli ultimi giorni ha vissuto suo malgrado una vergognosa esperienza, figlia di ignoranza e discriminazione.
Il suo papà, infatti, aveva deciso di iscriverlo in vista della bella stagione, in un centro estivo a nord di Roma. Dal quale il piccolo, però, è stato allontanato. “Erano circa le quattro di pomeriggio quando sono andato a riprendere mio figlio – racconta il padre di Danilo, Andrea Mantovani – e mi è stato detto dal direttore del centro che non avevano operatori adeguati per seguire un bambino con problematiche di questo genere. Io però avevo già preso accordi con la struttura, comunicando la patologia di Danilo e mi era stato confermato che avevano già avuto esperienze e simili e che non ci sarebbe stato nessun problema, anche perché mio figlio è un bambino assolutamente gestibile”.
Nella voce del papà di Danilo, si legge la rabbia. Che diventa tristezza. Ma non rassegnazione: “Ho comunicato al direttore del centro che qualora il problema fosse stato il comportamento di Danilo, avrei pagato una differenza per mettere a loro disposizione una persona specializzata per aiutarli nella gestione. Lui mi ha risposto che in verità aveva paura che qualche bambino, tornando a casa, si sarebbe potuto lamentare dei comportamenti di mio figlio, inducendo in qualche modo alcuni genitori a ritirare i propri figli dal centro”.
Ecco. A parte che un centro estivo per bambini, dovrebbe per legge essere pronto ad ospitare tutti. Figuriamoci un bimbo down, come Danilo, che non dà alcun tipo di problema.
Qui arriviamo al cuore della questione. In realtà, questo, non è un problema di gestione, ma di discriminazione. Danilo non dava fastidio nel centro per i suoi comportamenti.
Ma, come ha svelato il suo papà, con la sua semplice presenza. Perché si temeva che gli altri ragazzini “sani” avrebbero potuto raccontare a casa di quel loro “amichetto” con un cromosoma in più, spingendo in qualche modo i propri genitori a toglierli dal centro estivo.
Questa brutta storia di fine primavera, ci ricorda in che Paese siamo ancora costretti a vivere. Tante buone intenzioni. Tante belle parole. Tanta falsità. La paura di ciò che l’ignoranza non considera normale, ci racconta di una realtà in cui la cultura dell’integrazione ha ancora una strada enorme da fare.