“Chiedi un autografo all’assassino”, cantava Samuele Bersani in un suo celebre brano, “Cattiva”. Canzone quanto mai attuale, visto che lo sciacallaggio dei media e dei curiosi che trasforma gli assassini in star è sempre più invadente
“Così Bossetti ha massacrato Yara”, e giù dettagli, ricostruzioni, macabri particolari su un delitto come se questo omicidio fosse accaduto soltanto su una scena cinematografica e non avesse davvero spezzato la vita, i sogni, le speranze, di una ragazzina di tredici anni che probabilmente si fidava di chi l’ha massacrata.
Sciacallaggio mediatico vero e proprio. Tutto in nome del Dio Audience. E quindi del Dio Denaro. Alla faccia dei genitori, di Yara, che invece hanno sempre avuto un comportamento inappuntabile. Loro, sì, avrebbero potuto perdere la testa. Perché quando ti ammazzano una figlia così, è dura andare avanti.
Anzi, impossibile. Invece no. Mai una parola fuori posto. Mai una dichiarazione sopra le righe. Il diniego, sempre presente, a sedersi su quella tavola imbandita dagli abusivi delle emozioni, pronti a vendere uno scatto per un pugno di ascoltatori in più.
Scrive oggi Marco Visconti sul quotidiano “La Stampa”: “Nella sguaiatezza verbale e d’immagine che affolla la cronaca nera, nella vertigine di protagonismo, il silenzio di Fulvio e Maura racconta il mostruoso peso dell’irreparabile e insieme il passo che spetta ai loro tre figli“. Che sicuramente, con due genitori così, non potranno che regalare gioie.
Sono pecore travestite da lupi, questi cronisti morbosi, che ci raccontano che tipo di pizza ha mangiato Carlo Lissi, prima di sterminare la propria famiglia. Che ci fanno vedere le immagini postate sui “Social” dagli assassini. Che ci raccontano quante lampade si facevano a settimana.
Se andavano in Chiesa. O facevano sport. Se preferivano i cani ai gatti. Se amavano il mare o la montagna. Cose che non dovrebbero minimamente interessarci. E con cui invece ci annebbiano vista e cervello. Alla ricerca di scoop che non ci sono. Senza rispetto per le vittime di storie che hanno colpito chi non c’è più e chi resta in vita con la morte nel cuore.
Cose da sciacalli. Sciacalli di emozioni. Incapaci ormai di viverne sulla propria pelle. Di sorprendersi, innamorarsi. Arrabbiarsi. Sciacalli che provano un brivido solo col telecomando o la tastiera tra le mani. Concentrati su un caso, finché ne parlano i giornali.
Fino al prossimo reality dell’orrore. Fino a quando la morbosa attenzione del guardone andrà a scomparire. E tutto finirà, come nel Truman Show, con un “Cambia canale, guarda cos’altro danno”.