Censurata dai media italiani ed europei, ieri davanti agli occhi del pianeta ha trovato per la prima volta spazio la rivolta cui milioni di cittadini brasiliani stanno dando vita ormai da mesi per protestare contro il clamoroso sperpero di denaro pubblico che ha accompagnato l’avvicinamento ai campionati del mondo iniziati con la vittoria dei Carioca sulla Croazia.

Il Brasile è vicino a una guerra civile. Un conflitto che potrebbe avere una intensità medio-alta e che in realtà mette uno contro l’altro due modi, due mondi, due  metodi di vedere e intendere la società: da un lato, ci sono la cooperazione sociale e i bisogni reali di un’intera popolazione, dall’altro i diritti dei pochi, che espropriano, fanno, disfanno, servendosi del modello “grandi eventi”, che  invade i territori, li assoggetta, li sfrutta, li costringe ad avere a che fare con un complesso sistema di “Stato d’Allerta”, “Zone Rosse”, sgomberi,  forze dell’ordine in massa o militarizzazione di quartieri, aree, città.

Contro questi nuovi processi di espropriazione e colonizzazione sia le classi più indigenti che quelle medie dello sterminato territorio brasiliano si battono da oltre un anno, prima col movimento PAsse Livre, oggi con le mobilitazioni della “Coppa senza popolo”, che vede scendere in piazza decine di migliaia di lavoratori e disoccupati brasiliani, accomunati dal bisogno di mettere al primo piano dell’agenda politica i bisogni della popolazione contro quelli della Fifa.

Fifa che, almeno in questo momento, dalla stragrande maggioranza del popolo brasiliano, viene considerata alla stregua di una vera e propria mafia.  E c’è chi dice che questi siano dei Campionati del Mondo dall’esito scontato. Con un Brasile vincente sul campo. Ma perdente fuori.