Marco Pantani. Basta il nome per evocare ricordi esaltanti e tristi sensazioni. Un campione. Un mito. Una leggenda. L’ultimo italiano a domare le montagne francesi. L’ultima istantanea di un ciclismo che con la sua scomparsa, forse, ha finito per sempre di essere quello che era.Sulla tragica fine con cui il mito di Cesenatico si è congedato da questo mondo, si è detto e scritto molto.  Ma ancora oggi, a dieci anni da quel maledetto 14 febbraio 2004, si continua a discutere. C’è chi è pronto a giurare che il Pirata fu assassinato.

Chi invece, come me, si limita semplicemente a constatare che Marco fu ucciso, sì, ma non fisicamente. Metaforicamente, ma non troppo. Umanamente, di sicuro. Da quel mondo che prima l’ha idolatrato e poi, di colpo, abbandonato. Da quei fans (alcuni, non tutti), che prima lo hanno celebrato come una leggenda e poi descritto con gli aggettivi più infamanti.

Ma, soprattutto, da quegli amici che non erano amici. Uno di loro, ha pensato bene, nelle ultime ore, di mettere in vendita a 1.500 euro su eBay il tesserino della Federazione ciclistica italiana appartenuto a Marco Pantani. Sciacallaggio legalizzato. Cattivo gusto portato all’estremo.

La cosa ha suscitato l’ira della madre del “Pirata”, Tonina: chi l’ha fatto “si deve vergognare”. A detta della mamma di Pantani, ad avere questa squallida trovata, sarebbe stato “un amico di squadra” del figlio, che oltre alla licenza dell’Unione ciclistica internazionale del 1997 ha messo in vendita all’asta anche diverse maglie della Mercatone Uno indossate da Pantani.

“Se le maglie gliele aveva regalate Marco, ci faccia quello che vuole – afferma Tonina sul suo profilo Facebook -, ma un documento privato no: Marco non glielo avrebbe mai dato, quindi ricorrerò ad un avvocato per sapere dove l’ha preso”.

“Quando gli ho detto che si deve vergognare – aggiunge ancora la madre del “Pirata” -, lui mi ha risposto che  1.500 euro gli fanno comodo e che altre cose gli scivolano addosso: ma che amici aveva mio figlio? Che tristezza”.

Già. Che tristezza. Amici di cartone che non possono fare altro che vivere all’ombra di un elefante magrolino che scriveva poesie, come cantano gli Stadio, e che a differenza loro, sarà vivo per sempre nella memoria degli italiani, anche se il suo cuore ormai dieci anni fa ha cessato di battere.