Datori di lavoro e dipendenti, quanto incidono i social network nel rapporto lavorativo che lega ‘il capo’ ai suoi sottoposti? Molto! Per quelli già assunti un post troppo esplicito può costare il licenziamento, così come in un ipotetico colloquio di lavoro un’attività ‘sospetta’ sui social può determinare un netto rifiuto. Al contrario, e qui si parla di aspetti positivi, gli interessi manifestati da un singolo individuo sulla propria pagina social può interessare un’azienda fino al punto di reclutare l’abile internauta. È il Wall Street Journal che cerca di fare chiarezza sull’argomento, elencando favorevoli e contrari al nuovo social trend.

L’inchiesta del Wall Street Journal

Un numero sempre maggiore di aziende monitora continuamente i social media per cercare di capire al meglio i potenziali dipendenti ed evitare futuri problemi. Ma le espone anche a potenziali rischi, quali cause nel caso di mancata assunzione di un dipendente perché gay o disabile, dopo averlo scoperto sulla rete. L’opinione pubblica si è divisa praticamente in parti uguali giudicando l’operato delle aziende che controllano i social media dei loro dipendenti o dei potenziali assunti: chi sostiene l’operato delle aziende ritiene che i datori di lavoro dovrebbero e potrebbero spingersi anche oltre, mentre i più tenaci paladini della privacy e dei lavoratori ritengono che sia una pratica non necessaria perché quello che viene postato online non ha nulla a che vedere con il lavoro.

Lo studio di CareerBuilder

Stando ai dati derivanti da uno studio condotto da CareerBuilder, il 39% dei datori di lavoro indaga sui social media dei potenziali candidati e il 43% ha scovato in rete materiale, come foto inadatte o commenti su ex capi, che li ha persuasi a scartare il papabile candidato. Solo il 19% delle aziende ha trovato online informazioni che le hanno convinte ad assumere una particolare persona. A condurre indagini sui social media usati da potenziali candidati è circa il 77% delle aziende.