L’istituzione Università, nella sua concezione tradizionale, sta vivendo gli ultimi 50 anni della sua esistenza. A sostenerlo non è un personaggio qualunque bensì una delle massime espressioni della robotica moderna, nonché  il primo esponente dei “Moocs”, ovvero i massive online open course, che rappresentano secondo Sebastian Thrun, della Stanford University, la nuova frontiera dell’insegnamento.

I Moocs non sono altro che corsi universitari ideati e strutturati per essere fruiti su larga scala, accessibili via web e molto spesso gratuiti. Dietro alla diffusione di questo nuovo sistema per la trasmissione della conoscenza ci sono istituzioni prestigiose come Stanford, Harvard, Berkeley e il Mit, l’eccellenza in ambito di istruzione universitaria, strutture che hanno deciso di investire centinaia di milioni di dollari nel perfezionamento delle rispettive università digitali che portano il nome di Coursera, EdX e Udacity  e vantano già milioni di adesioni. L’aspetto più sorprendente di quella che viene considerata come la più grande innovazione dell’educazione dagli ultimi duecento anni, risiede nella possibilità di un team di 3 persone, composto il più delle volte da un professore e due assistenti che, ad esempio, insegnano design dei circuiti analogici, di gestire fino a 10mila studenti online, contro i 400 studenti che al massimo possono essere indottrinati in presenza. In un’università “tradizionale”, a un professore servirebbero 250 anni di insegnamento per formare lo stesso numero di studenti.

Il successo dei Moocs in America può essere spiegato anche con motivazioni di natura economica: negli ultimi 30 anni il costo di una laurea è cresciuto del 559%, ciò significa che molti studenti sono lasciati fuori dai college mentre chi è autorizzato a rimanerci dentro contrae una quantità di debiti tale che la vita dopo il college ne rimarrà inevitabilmente condizionata. Negli Stati Uniti questa possibilità di contrarre un debito si chiama “prestito d’onore” e ad oggi ammonta ad un triliardo di dollari. Nella rivoluzione dell’università, l’economia, infatti, ci mette del suo: «Molte lauree stanno perdendo il loro valore, perché non riflettono più quello che una persona sa fare” commenta Gary Orman, advisor indipendente. “In realtà, sono usate da grandi organizzazioni industriali per “filtrare” i candidati per un colloquio».

Quello che giunge dall’America è un vento di rivoluzione culturale accolto con grande entusiasmo mentre all’interno dei nostri confini, istituzioni che tentano di intraprendere un percorso analogo sono spesso trattate alla stregua di furbetti da strapazzo che provano ad accorciare o semplificare il cammino che uno studente può intraprendere nel momento in cui decide di dar seguito alla sua ambizione di conseguire una laurea.