La festa dei lavoratori si porta dietro riflessioni che è bello condividere, affinché il primo maggio non diventi, nel tempo, esclusivamente una scusa che qualcuno adopera per andarsi a fare le canne a San Giovanni durante il Concertone e per concedersi bonariamente la classica fava col pecorino di cui a Roma tanto andiamo ghiotti.
Più che mai oggi, in questo caos precario che coinvolge ogni generazione, è giusto parlare di una tematica così importante come quella legata al lavoro. Quando l’Istat fotografa un’Italia sempre più vecchia, senza occupazione, fiaccata da anni di crisi e dove si continua a tirare la cinghia riducendo anche la spesa per acquistare le cose da mangiare, la prima cosa da fare è aprire gli occhi. E capire che proprio dalla parola lavoro passa il futuro di un Paese. Che cos’è il lavoro? Il principio su cui si fonda la nostra Repubblica. Un diritto. Ma anche un dovere. Perché in un periodo storico in cui la disoccupazione galoppa, vedere in ogni settore “lavoratori” che si imboscano con l’unico obiettivo di non produrre nulla per rubare uno stipendio alla fine del mese, è francamente ignobile. Per questo, con i furbetti, non deve esserci pietà. E’ anche colpa loro se l’Italia versa in queste condizioni. E poi? Cos’altro dovrebbe essere il lavoro? Realizzazione. Impegno. Tenacia. E’ attraverso il lavoro che ognuno ha nel suo ambito d’azione la possibilità di fare qualcosa per migliorare la vita di sé stesso e degli altri. E cosa non deve essere, invece. Beh, il lavoro non deve essere morte. Se ne parla poco. Troppo poco. Ma sono state 790 le morti bianche nel 2012 e 744.916 gli incidenti denunciati all’Inail. Numeri pazzeschi. Di lavoro si deve vivere. Per lavorare non si può rischiare di morire.