Il talento non ha bisogno di salire i gradini di un podio. E così, anche se la pianista Alessandra Celletti non ha tante medaglie d’oro da mostrare sul petto, mette ugualmente in evidenza tanta arte nelle sue dita. Musicista ancora sommersa per i più distratti, è un nome che gli amanti del pianoforte conoscono ed adorano da tempo. In queste settimane è in giro per festival un documentario sul suo ultimo tour, “Piano Piano on the road”, e sul web c’è un video della sua composizione “Nightflight” estratta dall’album “Above the Sky” prodotto dall’etichetta americana indipendente Transparency. Impariamo a conoscerla anche noi con questa piacevole chiacchierata.

Cosa vuol dire essere pianista nel 2014?
Confesso che in parte vuol dire sentirsi a disagio. Devo fare i conti con un mondo complesso e plastificato e non è sempre facile. Il rovescio della medaglia, però, è che c’è anche una comunicazione libera, grazie al web e ai social, ed ora è possibile entrare in contatto con le persone quasi porta a porta. Questa è la strada sincera che voglio percorrere perché mi aiuta ad avere un pubblico sincero che mi vuole bene.

Da una parte ci sono Giovanni Allevi e Giulia Mazzoni e dall’altra Stefano Bollani e Ludovico Einaudi. Tu dove sei in questa diatriba infinita?
Altrove. Di natura sono anarchica e mi sento decisamente al di fuori di questo meccanismo. Le barriere, in un senso o nell’altro, mi stanno strette e non credo che il successo significhi per forza essere conosciuti da tutti. Piuttosto è quando riesci a portare in giro la tua musica difendendo sempre la tua personalità.

È in giro il documentario sul tuo tour “Piano Piano on the road”. Di che si tratta?
Si tratta del racconto dell’esperienza musicale più bella che ho avuto negli ultimi anni. Attraverso il sito di crowdfunding Music Raiser, ho raccolto fondi per un progetto apparentemente pazzo ma invece molto razionale. Chiedevo sei mila euro per pagare i costi tecnici di un tour di quindici date in giro per l’Italia dove suonavo il piano in cima ad un camioncino. La gente ha risposto molto bene e  mi ha finanziata e poi è anche arrivata una mail da una società di produzione video indipendente, la Primafilm, che mi ha chiesto di seguirmi con le telecamere in questo viaggio. Ora il lavoro video è finito e sottotitolato e presto andrà nei principali festival del mondo. Forse sarà anche un dvd. Vedremo.

Suonerai a Piano City a Milano. Sei emozionata?
Più che altro un po’ spaventata. Io mi esibirò il 17 maggio, tra due giorni, alle ore 12 presso la Stazione Garibaldi e non ho idea di quale atmosfera mi attenderà. Ora che ci penso, però, è anche una scommessa con me stessa quella di riuscire a creare attenzione là dove non c’è.

Il video di “Nightflight” come è nato?
L’idea finale è frutto di tutta l’equipe ed è stata modificata strada facendo ma il concept di fondo è la traduzione in immagini di un mio sogno ricorrente, quello di volare nel senso fisico del verbo. È sempre stata una mia passione tanto che, quando ero una ragazzina, ho anche preso il brevetto di aliante.

Sei sposata. Come vive tuo marito la tua arte?
Mio marito era il mio professore di filosofia quando avevo 14 anni. Ci conosciamo da così tanto tempo che ormai abbiamo un rapporto fortissimo dove ho conquistato il suo rispetto per quello che faccio.

Quando tornerà a respirare la musica? Non è in apnea da troppo tempo?
E’ vero ma la vedo male. Forse è più facole che impariamo a respirare sott’acqua, forse dobbiamo farci spuntare le branchie.

Sei un tasto nero o un tasto bianco?
Un po’ tutti e due. L’equilibrio dei due estremi è quel che genera la pace.

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