Quanto bello sarebbe, interrogarsi sulla Festa della Liberazione, senza gli archetipi mentali di chi è vittima dei propri preconcetti ma con l’interesse e la voglia di comprendere cosa si celi dietro una data controversa che ha più volte corso il rischio di veder mistificato il proprio significato.
Personalmente, nei confronti del 25 aprile, ho un approccio a dir poco scettico. Non tanto perché questa ricorrenza vuole dividere il Paese (ed i suoi caduti) in buoni e cattivi (meriterebbero se non altro rispetto, quei ragazzi che in nome di valori come l’onore e la lealtà, andarono a morire per Salò) ma ancor di più perché ha dato vita al delicato e non casuale equivoco che l’Italia si sia stata riportata alla libertà (anche se sul concetto di libertà ci sarebbe da discutere a lungo, perché ad oggi siamo tutto meno che liberi…) grazie ai risultati ottenuti dalla lotta partigiana e non dunque per l’intervento militare delle truppe angloamericane.
Diciamoci la verità. Nel contesto storico legato alla seconda Grande Guerra, la Resistenza fu un fatto trascurabile, periferico, che impegnò fisicamente e moralmente qualche migliaia di uomini, di certo non la maggioranza del popolo italiano, che strizzò l’occhio al fascismo per poi abbandonarlo quando cadde in disgrazia e restare alla finestra per osservare chi avrebbe vinto la partita, svergognandosi infine, dopo il 25 aprile, nella più barbarica delle maniere, con lo strazio di piazzale Loreto.
Sarebbe giusto cominciare a parlare di certe tematiche, soprattutto quando di mezzo c’è la storia di una Nazione che a fatica sta ancora tentando di rialzarsi. Per farlo, però, bisognerebbe abbandonare una disciplina che invece attecchisce ancora molto nell’opinione pubblica del Paese: la retorica. Questa data, questa festa, questo 25 aprile, ha permesso e permette agli italiani, almeno a parte di essi, di fingere di aver vinto un conflitto che invece hanno perso, e nel più stucchevole dei modi, e non gli consente,quindi, di fare i conti con se stessi, a differenza, tanto per fare degli esempi, di quanto accaduto ai giapponesi o ai tedeschi.
Da questo non certo casuale equivoco sono sorti molti guai che hanno, nel corso degli anni successivi, condizionato la nostra storia. Compreso il terrorismo e quel suo ritorno di cui a giorni alterni tanto si parla, con la solita, purtroppo immancabile, retorica da due spicci. Politici, giornalisti, comunicatori in generale, un appello: risparmiateci gli occhi lucidi, i soliti racconti ipocriti conditi da volti di circostanza e parole prestampate. Iniziamo a guadarci in faccia. Iniziamo a farlo davvero.