Mito si nasce. Anche se questa parola, ultimamente, viene un po’ troppo abusata. Il termine, invece, andrebbe usato con cautela. Possono essere esistiti personaggi famosi, importanti o influenti, ma non saranno mai dei miti. Fuoriclasse assoluti dello sport, campioni autentici e modelli da seguire, ma non miti. Miti mai.
Chi nasce mito, poi, il più delle volte, anche senza saperlo, è destinato a diventare una leggenda. Morendo giovane, quasi sempre. Eternizzando un’immagine pronta a diventare bandiera, icona immortale da lasciare a futura memoria.
Guardate Senna. Guardatelo, Ayrton. Fermate la vostra attenzione su quegli occhi, malinconici e coperti sempre da un velo di tristezza, come se sapessero già che erano destinati a chiudersi presto, troppo presto.
Ayrton Senna, il pilota di Formula 1 per antonomasia, quella malinconia di essere veramente il più grande di tutti se la portava dietro con una leggiadria indescrivibile.
Tre mondiali vinti, nel 1988, nel 1990 e nel 1991, correndo per la McLaren, dopo essersi formato passo dopo passo prima in Toleman e poi in Lotus, per un totale di ottanta podi e quarantuno primi posti
Ma questi sono solo numeri freddi, buoni per le statistiche, ma del tutto insufficienti a descrivere la grandezza di questo pilota, che è stato in grado di rendere divertente uno sport sempre più noioso, di portare la fantasia al comando là dove dominano le macchine, i numeri, risultando estroso e concreto al tempo spesso.
Inarrivabile, per gli altri. Quando lui pensava una manovra, il rivale di turno era stato già sorpassato ancor prima di accorgersene. Perfetto sul bagnato e sull’asciutto, abile a cogliere ogni errore degli avversari, pittore di curve e chicane paraboliche, imprendibile quando c’era da accelerare sul rettilineo di una vita in cui o sei comparsa o sei protagonista, costi quel che costi.
Erano le 14.17. Era il 1° maggio 1994, si correva il Gran Premio di San Marino a Imola: alla curva del Tamburello saltò un braccetto della sospensione della sua Williams, quel bolide che mirabilmente padroneggiava e che diventò in quell’istante una freccia mortale capace di portarselo via per sempre.
Dentro all’abitacolo, quando i medici e i tecnici di gara riuscirono a tirar fuori il suo corpo ormai privo di vita, trovarono una bandierina austriaca: l’ultimo regalo di Ayrton. L’ultimo omaggio del fuoriclasse divenuto mito prima e leggenda poi.
Quella bandierina, l’avrebbe voluta sventolare sul podio in memoria di Roland Ratzenberger, pilota austriaco debuttante morto il giorno prima, durante l’ultima fase delle qualifiche. Non ha fatto in tempo. Purtroppo.