“Musicista raffinata, compositrice, autrice, pianista, cantautrice, producer”. Inizia così il comunicato stampa dell’uscita del nuovo disco di Roberta Di Mario e la notizia è che sono tutte parole vere. Classe 1972, sospesa tra una carriera da pianista ed un percorso da cantautrice, l’artista rappresenta un felice caso di ibrido musicale che, nella sua tradizione di proposta, è pura innovazione. Leggendo tra le sue parole sarà più facile farsi un’idea del suo mondo e del perché valga la pena scoprirlo.

Come va il matrimonio col pianoforte?
A gonfie vele. È una storia d’amore pazzesca iniziata tanti anni fa e che ancora sa scaldarmi il cuore. Certo, come in tutte le passioni, ci sono alti e bassi.

Stai ammettendo di aver tradito il tuo strumento?
No, quello mai. L’ho un po’ odiato quando ero una studente del percorso accademico perché mi sentivo un po’ limitata a livello creativo ma mi è bastato allontanarmi un po’ per ritornarci sopra rigenerata.

È difficile per una donna essere una musicista?
È difficile come è difficile per tutte le ragazze in Italia con gli altri lavori. Abbiamo, però, le nostre risorse. Io, per esempio, ho un figlio di 14 anni con cui sono cresciuta che considero una vera e propria risorsa. Diciamo che è l’energia da cui parte anche la mia musica.

Sei cresciuta con tuo figlio ma ti è successo anche con l’uscita del tuo album “Lo Stato delle Cose”?
Ovviamente sì. Non è un caso, per esempio, che sia uscito proprio il 28 marzo, giorno del mio compleanno. Considero questa pubblicazione, infatti, una rinascita e volevo che lo fosse anche simbolicamente.

C’è molto di te?
C’è tutto. Per esempio ci sono due dischi perché volevo rappresentare i miei due lati di cantautrice e pianista così come vivono dentro di me.

Cioè?
Distinti ma anche collegati. Chi ascolterà il lavoro musicale, per esempio, si troverà anche tre versioni strumentali dei brani di “Songs”. C’è, insomma, un fil rouge che volevo arrivasse all’ascoltatore. Il bianco e il nero e il sottile confine tra loro.

Aprirai i concerti di Roby Facchinetti. Paura?
No, emozione. Mi confronterò col pubblico di un grandissimo della musica italiana e per me è un forte stimolo. Sarò il 13 maggio all’Auditorium della Conciliazione di Roma e il 18 al Teatro Nazionale di Milano e non sto più nella pelle. In fondo sarà un bel debutto per questo mio lavoro e farlo con uno che di “tasti” ne sa davvero molto non è male.

Come rispondi a quella parte della discografia che etichetta gli emergenti over 30 come dei “bolliti”?
La mia musica pop è giovane perché è da poco che ho iniziato a scrivere canzoni come cantautrice. Là sta l’età di un artista, non nella carta d’identità. Semmai gli anni che si sentono sulle spalle possono servire per avere una migliore maturità espressiva. Io, per esempio, senza falsa modestia, ritengo di essere nel pieno della mia vena creativa e il merito arriva da mio figlio e da tutta la vita che ha portato con sé.  

Mi rivolgo alla pianista che è in te. Giovanni Allevi, Giulia Mazzoni… sembra che il vostro sia un genere destinato alle polemiche.
L’ho notato anch’io. Credo che ci sia un accanimento eccessivo che non mi spiego ma credo anche che, se tutti facessimo un passo indietro, le cose andrebbero meglio.

A cosa ti riferisci?
Al fatto, per esempio, che Allevi non è tecnicamente così scarso come i detrattori sostengono ma anche che fare certe dichiarazioni su Beethoven può dar adito ad inutili discussioni. Sarebbe bello se si esponesse solo la musica.

Acquista LO STATO DELLE COSE su iTunes