Non c’è pace per Claudio Lotito. Prima la contestazione dei tifosi, ora il rischio decadenza dalle cariche sportive: questa la possibile conseguenza della sentenza di (parziale) condanna nei confronti del presidente della Lazio per «omessa alienazione di partecipazioni» della società, emessa dalla Quinta Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione lo scorso 4 luglio e depositata in Cancelleria il 30 dicembre. La sentenza, fotocopiata, sta facendo il giro dei giornali, degli uffici in Federcalcio, persino nelle mani di alcuni parlamentari.
Ma andiamo con ordine. La vicenda in questione è relativa all’accusa di manipolazione del mercato (aggiotaggio), ostacolo all’esercizio delle funzioni dell’autorità pubblica e omessa alienazione di partecipazioni avanzata dalla Procura di Milano contro Claudio Lotito e Roberto Mezzaroma (zio della moglie del presidente biancoceleste) nella compravendita dei titoli della Lazio risalente al 2005.
Condannato in primo e secondo grado, Lotito è stato prosciolto in Cassazione dalle prime due accuse per intervenuta prescrizione, mentre la nuova determinazione della pena per l’omessa alienazione delle partecipazioni – punita dall’articolo 173 del Testo unico della finanza (Tuf) – è stata rinviata alla Corte d’Appello.
Ma cosa prevedono le norme della Federcalcio in caso di condanna penale? «Non possono assumere la carica di dirigente di società, e se già in carica decadono – si legge nell’articolo 22 delle Noif – coloro che siano stati condannati con sentenza passata in giudicato per i delitti previsti dalle seguenti leggi», tra le quali è nominato anche il Tuf. E ancora l’articolo 22: «I dirigenti di società, ove intervenga una situazione di incompatibilità, sono tenuti a darne immediata comunicazione alla Lega e al Comitato Regionale competente».
Dunque Lotito dovrebbe lasciare la presidenza della Lazio e il posto da consigliere federale? Sì, secondo «Federsupporter», associazione che riunisce soggetti interessati alla vita associativa sportiva e ha segnalato l’intera vicenda a Federcalcio e Coni. Decisamente no, secondo Lotito: «La decadenza passa necessariamente da una sentenza in giudicato – spiega a Il Tempo l’avvocato della società biancoceleste Gian Michele Gentile – e qui manca ancora una pena, dunque Lotito non è stato ancora condannato. E poi da qui alla rideterminazione della pena da parte della Corte d’Appello potrebbe intervenire un provvedimento di clemenza, per esempio un’amnistia».
La questione è aperta e per nulla scontata. La sentenza numero 4904 emessa nel maggio 1997 dalla Corte di Cassazione Penale a Sezioni Unite sembra smentire l’ipotesi della Lazio: «Qualora venga rimessa dalla Corte di Cassazione al giudice di rinvio esclusivamente la questione relativa alla determinazione della pena, il giudicato formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato con la definitività della decisione su tali parti impedisce l’applicazione di cause estintive sopravvenute all’annullamento parziale».
Chiamati in causa come detto da Federsupporter, Federcalcio e Coni stanno studiando la questione Lotito attraverso i rispettivi uffici legali. La Lazio, però, si dice assolutamente tranquilla. E anzi rilancia, mettendo in discussione il contenuto dello stesso articolo 22 delle Noif: «La norma va rivista – spiega ancora l’avvocato Gentile – perché così formulata è troppo ampia».
Al momento, però, le regole sono queste. E prevedono anche che, in caso di decadenza, le cariche perse possano essere recuperate solo «con il conseguimento della riabilitazione deliberata dal competente organo dell’autorità giudiziaria ordinaria», dunque non prima di tre anni dal momento in cui la pena è estinta. Ma queste sono solo ipotesi. La certezza è una sola: Lotito rischia di perdere la poltrona. (Daniele Palizzotto Il Tempo)