28 Apr, 2025 - 10:17

Papa Francesco: missione compiuta?

Papa Francesco: missione compiuta?

In questi giorni di addolorato disorientamento per la perdita di Papa Francesco, palpabile è il cordoglio per il Pastore di anime la cui umanità lo aveva così avvicinato al gregge da renderlo un riferimento irrinunciabile anche per tanti non credenti e soprattutto per quegli ultimi che ai suoi occhi venivano prima dei primi.

Della straordinarietà di questo Papa, da più parti sottolineata, si è parlato, anche con una vena di rammarico, per quella riforma della Curia e della Chiesa stessa che molti si attendevano da lui, considerata in parte mancata. Sotto questa lente, il Pontefice è stato descritto negli ultimi anni della sua esistenza come isolato tra i suoi, quasi arreso. E se le cose non stessero così? 

Vorrei proporre un’alternativa, proprio a partire dalla consapevolezza che il Pontefice aveva fin da principio dell’impresa titanica che lo attendeva nell’apportare modernità in quella istituzione granitica e millenaria cui apparteneva, avvicinandola alla gente comune, ponendola quindi a contatto con quell’odore delle pecore per taluni perturbante e talvolta sgradito, come non ha mancato di sottolineare il Cardinal Zuppi nelle parole che gli ha dedicato in un video diffuso dalla CEI.

Come non pensare che il Papa fosse più che consapevole della lezione della storia in cui le rivoluzioni hanno prezzi altissimi, quando non conducono a spinte restauratrici opposte?

Ecco che l’umiltà di chi si percepisce mero strumento di Dio nel far sentire “Fratelli tutti”, la paternità colma d’umanità del sacerdote, l’unicità di Jorge Mario e verosimilmente quella profonda comprensione di sé in relazione a temi cruciali, maturata anche grazie alla psicanalisi, gli ispirano un’azione che passi attraverso quel caposaldo dell’educazione che è l’esempio.

A partire dal nome scelto, quel Franciscus che rimandava al Santo poverello di Assisi e dai primi atti simbolici quali il mantenimento della propria croce pettorale in argento al posto di quella d’oro, nonché la scelta di risiedere a Santa Marta, si comprese immediatamente che modello di Papa volesse incarnare Bergoglio. Memorabile anche il gesto di pagare personalmente il conto alla Casa del Clero, dove aveva soggiornato nei giorni precedenti al Conclave che lo elesse.

Da subito ha sviluppato un dialogo speciale col popolo, interagendo con spontanea autenticità e modalità del tutto nuove, inaugurando un capitolo mediatico della comunicazione di cui la Chiesa nel corso degli anni ha apprezzato e compreso la fondamentale importanza.

Come non sottolineare poi quella sua disponibilità partecipe e così speciale, testimoniata dalle tante telefonate effettuate con estrema semplicità ai fedeli che gli scrivevano, come a persone toccate da vicende gravi a cui desiderava esprimere vicinanza e recare conforto.

Con la stessa attitudine ha creato ponti, portando il Vangelo in terre sconosciute ai predecessori, sottoscrivendo un documento di fratellanza con una delle massime autorità islamiche e dimostrandosi inclusivo con categorie di persone che venivano respinte come gli appartenenti alla comunità LGBTQ+.

Non solo, ma ha affidato ruoli di rilevanza alle donne nella Curia, abolito il segreto pontificio per i casi di abuso sessuale ed istituito un Consiglio di Cardinali, aumentando il livello di coinvolgimento della Chiesa nell’amministrare con maggiore pluralismo se stessa.

Cosa dire poi dei temi dell’immigrazione, della globalizzazione dell’indifferenza, dello sfruttamento del pianeta, della precarietà del lavoro, della condanna della corruzione, che per la prima volta divengono prioritari nell’agenda di un Pontefice?

Misericordioso, raccontava di aver sempre impartito l’assoluzione, tranne una volta per l’ipocrisia di chi aveva davanti, sottolineando la gravità di quella recitazione cui rimanda l’etimologia del termine che consente di fingere un valore e/o una appartenenza, simulando un bene che nasconde il male, pratica diffusissima a momenti resa virtù, in tempi di falsità e manipolazione quali quelli che stiamo vivendo.

E sopra a tutto e fino all’ultimo ha ripudiato la guerra, esponendosi con una trasparenza ed una nettezza che richiama e risponde solo e direttamente al Vangelo, con e per cui ha scavalcato ogni opportunità diplomatica e legaccio della nomenclatura.

Il valore dell’esempio di Papa Francesco non risiede solamente nel promuovere il paradigma di una Chiesa compassionevole e dalle porte sempre aperte che incarni il più possibile il messaggio originario di Cristo, ma anche nell’indurre, da un punto di vista sistemico, il cambiamento dell’Istituzione religiosa stessa.

Poteva fare di più? Era nelle sue intenzioni attuare una trasformazione radicale?

Non lo sappiamo con certezza. E non mi sentirei di ipotizzarlo. Mi piace pensare a Papa Francesco negli ultimi anni non isolato, ma solo, perché solamente uno è il Pontefice che, tra il peso del trascorrere del tempo con responsabilità sempre più grandi e la salute che veniva meno, si è focalizzato sul condurre fino in fondo la propria mission come amorevolmente ed instancabilmente ha fatto.

Ed ora non si può che pensare con struggimento al testamento, al denaro sul suo conto devoluto ai detenuti, alle spese del funerale sostenute da un benefattore, a quel sepolcro semplice, nella terra, fuori da S. Pietro, vegliato dalla Madre Celeste nella Basilica a lei dedicata in cui Jorge Mario Bergoglio si recava in adorazione ed affidamento di sé e del proprio Ministero.

Ma soprattutto colpisce la scelta di una lapide marmorea spoglia che reca unicamente la scritta Franciscus. Forse non ci troviamo di fronte solo all’ultimo atto di umiltà di questo straordinario Papa, ma anche al simbolo di un pontificato che ha voluto porre la prima pietra di quel sostanziale cambiamento su cui il successivo Pietro potrà edificare una Chiesa rinnovata che sia come la intendeva Francesco, Casa di tutti ed ospedale da campo.

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