Sicuramente non posso dire che settembre scorso sia stato uno dei mesi migliori o più facili della mia vita. Proprio per questo sono ancora capace di rammentare, chiara e vivida come se la provassi adesso, l’incontenibile euforia percepita quando al tempo capitai per caso dinnanzi al trailer, in lingua originale, de “I Peccatori”, che mi risvegliò come da un lungo torpore. Sono certa che se qualcuno mi avesse osservata in quegli istanti avrebbe notato sul mio viso la stessa espressione vispa, euforica e febbricitante che assumevo da bambina nelle rare volte in cui mi sentivo davvero felice. Così ho aspettato impaziente per sette lunghissimi mesi di poter vedere Michael B Jordan protagonista di quel che mi sembrava essere un thriller in costume di grande pregio. Tant’è che mi ero rifiutata di leggere ogni articolo che ne parlasse, non volendo conoscere neanche la trama: i 120 secondi del trailer mi erano stati sufficienti e la mia fantasia aveva iniziato a fantasticare il tanto che basta da farmi un’idea precisa. Così il 18 aprile scorso alle 18:00, lo stesso giorno in cui è uscito in Italia, benché fossi esausta e riuscissi a tenere gli occhi aperti a fatica, mi sono precipitata nel mio cinema preferito per acquistare il biglietto ed entrare finalmente in sala. Ma, una volta iniziato, più i minuti passavano più la delusione in me si faceva cocente: non era affatto come mi ero immaginata.
Certo, le immagini, le musiche, le ambientazioni, i costumi e Jordan, che Dio lo benedica, il protagonista che qui interpreta entrambe le parti di due gemelli omozigoti…è tutto molto charmant! Però, tanto per cominciare, il primo tempo mi è parso troppo lento e inconsistente, come se la trama non si capisca bene dov’è che voglia andare a parare. Ambientato negli Stati Uniti del ’32, pochi anni prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale, il quinto lungometraggio scritto e diretto dal regista e sceneggiatore Ryan Coogler è un horror western che sfocia nel vampirismo, che si rifà al cinema di Tarantino e Rodriguez; alcuni hanno addirittura osato paragonarlo a “Django Unchained”. E per me è pressappoco una bestemmia. Sì, c’è qualcosa che può inquadrare “I Peccatori” nella medesima direzione, ma accostarli sul serio per me sarebbe un azzardo improponibile come appendere la tela originale de “La Notte Stellata” di Van Gogh nella cucina di un monolocale a Morlupo. Non fraintendetemi, non sto dicendo che sia un prodotto pessimo, anzi nell’ultima parte del secondo tempo ci sono dei momenti d’azione molto divertenti e godibili. Forse è questo il limite dell’intera pellicola, un risveglio tardivo che concentra i punti salienti e migliori giusto alla fine. Riconosco senza dubbio le capacità di Coogler da regista, però in questo caso il problema risiede nella sceneggiatura dove anche i dialoghi, che rimandano ai tipici del genere western, che erano notoriamente forzati, divengono addirittura caricaturali. In secondo luogo bisogna essere anzitutto degli amanti del mondo dei vampiri e, a parte la serie “Buffy”, che ho adorato alla follia da ragazzina, non è una passione che mi appartiene. Se dovessi annoverare dei grandi horror in una lista di film, includendone anche alcuni a tema soprannaturale, menzionerei: “1408”, “Secret Window”, “Il Collezionista di Ossa”, “Seven”, “L’Avvocato del Diavolo”, “Il Silenzio degli Innocenti”, “Le Verità Nascoste”, “The Skeleton Key”, “Gothika”, “Il Sesto Senso”, “The Others”, “Number 23” e tanti altri, ma non quelli che esplorano l’universo del vampirismo. Dunque, in tal senso, questo è un mio limite.
Comunque, ricordo bene l’esordio di Coogler nel 2013 dove, sempre con Michael B Jordan, battezzò la sua carriera con un lungometraggio di denuncia sociale: “Fruitvale Station”, in cui raccontava la vera storia di Oscar Grant, un afroamericano ucciso ingiustamente dalla polizia della Bay Area Rapid Transit durante il capodanno del 2009. Poi ha dato vita a Black Panther, che ha consacrato per l’eternità l’attore Chadwick Boseman, purtroppo ormai defunto per un tumore al colon nel 2020, come supereroe nero. Proprio come in tutte le sue pellicole, anche in quest’ultima c’è un tentativo di rivalsa per la popolazione nera e difatti c’è una menzione, se pur implicita, al Ku Klux Klan e una rivincita su di esso e su un gruppo di razzisti locali, che ho molto apprezzato, con un Jordan più attraente e irresistibile che mai. Molto gradevole anche la piccola apparizione del cantautore e chitarrista blues Buddy Guy che, essendo io un’estimatrice del genere musicale, mi ha strappato un grosso sorriso. Con un alto potenziale, andava rivisto meglio lo svolgimento della trama nei primi quaranta minuti, senza smarrire la direzione, ridotti al minimo i riferimenti forzati e ridicoli alla sessualità, soprattutto femminile (ad esempio chiamare, con l’aria da macho, il clitoride “bottone”…), e distribuire il ritmo per tutta la durata e non concentrarlo nelle ultime scene. Ciò che però traspare chiaro è che durante le riprese devono essersi divertiti moltissimo. Tre virgola due stelle su cinque.