27 Apr, 2025 - 08:45

Alberto Franceschini, chi era e come è morto il cofondatore delle Brigate Rosse?

Alberto Franceschini, chi era e come è morto il cofondatore delle Brigate Rosse?

Alberto Franceschini è stato uno dei fondatori e leader storici delle Brigate Rosse, la principale organizzazione armata della sinistra rivoluzionaria italiana attiva negli anni Settanta.

Chi era Alberto Franceschini? Età e origini

Nato a Reggio Emilia il 26 ottobre 1947, Franceschini proveniva da una famiglia di solide radici comuniste: il padre Carlo fu arrestato durante il ventennio fascista per attività antifascista, mentre il nonno fu tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia nel 1921. Entrambi parteciparono alla Resistenza contro il nazismo e il fascismo, un’eredità politica e morale che influenzò profondamente la formazione di Alberto.

Alberto Franceschini: causa della morte

Alberto Franceschini è morto l’11 aprile 2025 a Milano, all’età di 78 anni. La notizia del decesso è stata diffusa solo diversi giorni dopo. La morte viene indicata come avvenuta per cause naturali legate all’età avanzata.

Alberto Franceschini: moglie e figli

Sulle vicende familiari di Franceschini, le fonti disponibili non riportano dettagli su moglie o figli. La sua vita privata è rimasta sempre molto riservata, sia durante gli anni della clandestinità sia dopo la scarcerazione. Non risultano pubbliche dichiarazioni o interviste in cui abbia parlato di una famiglia propria, e anche le cronache recenti non menzionano congiunti stretti.

Biografia 

Fin da giovanissimo, Franceschini si avvicinò alla politica militando nella Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI). Tuttavia, le sue posizioni radicali lo portarono rapidamente a scontrarsi con la linea ufficiale del PCI, soprattutto dopo gli scontri con il servizio d’ordine del partito durante una manifestazione contro la base NATO di Miramare nel 1969.

Deluso, lasciò la FGCI e il PCI, avvicinandosi a gruppi più radicali e fondando a Reggio Emilia il Collettivo Politico Operai Studenti (CPOS), che sarebbe diventato il nucleo originario delle future Brigate Rosse.

La nascita delle Brigate Rosse e l’attività terroristica

Nel 1970, Franceschini, insieme a Renato Curcio e Mara Cagol, trasformò il Collettivo Politico Operai Studenti in una struttura clandestina armata: nacquero così le Brigate Rosse. Il gruppo si formò attraverso la fusione di militanti emiliani e milanesi, con l’obiettivo di portare la lotta di classe su un piano rivoluzionario e armato, ispirandosi alle esperienze della resistenza partigiana e ai movimenti rivoluzionari internazionali.

Le prime azioni delle BR furono sabotaggi e sequestri lampo, che segnarono l’inizio di una lunga escalation terroristica. Franceschini fu uno dei principali ideologi e organizzatori delle prime operazioni, tra cui il clamoroso sequestro del giudice genovese Mario Sossi nell’aprile 1974, che segnò il salto di qualità dell’organizzazione. Sossi fu rapito a Genova e liberato dopo oltre un mese di prigionia, anche grazie all’opposizione di Franceschini a un epilogo violento, nonostante una parte delle BR – in particolare Mario Moretti – avesse considerato l’ipotesi di ucciderlo.

Poche settimane dopo, il 17 giugno 1974, le BR compirono il loro primo duplice omicidio: nella sede del Movimento Sociale Italiano di Padova furono assassinati Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola. Franceschini fu ritenuto colpevole in concorso anomalo per questo delitto, definito “cinico e crudele” dai giudici.

Arresto, condanne e dissociazione

L’8 settembre 1974, Franceschini fu arrestato nei pressi di Pinerolo insieme a Renato Curcio, grazie alla collaborazione di Silvano Girotto, noto come “Frate Mitra”, che si era infiltrato tra i terroristi su mandato dei carabinieri.

Dopo l’arresto, Franceschini fu uno dei primi leader delle BR a essere processato e condannato. Le accuse a suo carico furono gravissime: duplice omicidio, sequestro di persona, costituzione di banda armata e associazione sovversiva, oltraggio a pubblico ufficiale e rivolta carceraria. Complessivamente, le condanne superarono i sessant’anni di carcere, anche se la pena fu poi ridotta grazie agli sconti previsti dalla legge e ai benefici premiali.

Nel 1978, mentre era detenuto, il suo nome comparve tra quelli dei brigatisti che le BR chiesero in cambio della liberazione di Aldo Moro. Franceschini partecipò dalla cella alla “gestione politica” del sequestro Moro, venendo poi condannato a 14 anni di reclusione anche per questo episodio.

Durante la detenzione, Franceschini si distinse per la sua durezza e per la leadership esercitata nei confronti degli altri detenuti brigatisti. Nel 1982, però, iniziò il suo percorso di dissociazione dalla lotta armata, prendendo progressivamente le distanze dalla violenza politica.

Nel 1987 ottenne i primi permessi premio e gli arresti domiciliari; nel 1992, dopo circa 18 anni di reclusione, fu scarcerato definitivamente, avendo ormai rotto ogni legame con il passato brigatista.

Vita dopo il carcere, libri e attività

Una volta libero, Franceschini si trasferì a Roma, dove lavorò per Arci e, successivamente, a Milano. Negli anni successivi si dedicò a riflessioni critiche sulla sua esperienza e su quella delle BR, pubblicando anche un’autobiografia, “Mara, Renato e io”, in cui raccontò la genesi e il declino della lotta armata in Italia. Pur non rinnegando del tutto la sua militanza, espresse più volte un pentimento giudicato “sincero” dai magistrati e dagli osservatori.

Negli ultimi anni, Franceschini ha partecipato a dibattiti pubblici, convegni e commemorazioni, mantenendo una posizione critica sia verso la storia delle BR sia verso le interpretazioni ufficiali di alcuni episodi chiave, come il caso Moro.

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