La morte di Papa Francesco ha scosso il mondo intero, riunendo a Roma centinaia di migliaia di fedeli e oltre 160 delegazioni internazionali per le esequie di un pontefice che ha segnato la storia della Chiesa e della diplomazia globale. Tuttavia, due assenze spiccano su tutte: quella di Vladimir Putin e, soprattutto, quella di Benjamin Netanyahu.
Se per il presidente russo il motivo principale è riconducibile al mandato di arresto internazionale, la mancata presenza del premier israeliano è il risultato di una frattura diplomatica profonda e recente con la Santa Sede.
Benjamin Netanyahu non solo non sarà presente ai funerali di Papa Francesco, ma ha anche tardato giorni a esprimere un messaggio di cordoglio ufficiale, lasciando che fosse il presidente Isaac Herzog a rappresentare la voce di Israele. Il premier e il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar hanno mantenuto un silenzio che, nel linguaggio diplomatico, equivale a una presa di posizione netta.
Addirittura, tutti i post di condoglianze pubblicati dalle ambasciate israeliane sono stati rimossi su ordine diretto del governo, scatenando indignazione tra i diplomatici stessi. Solo dopo tre giorni, e tra le polemiche, è arrivato un messaggio formale dall’ufficio del premier.
La ragione di questa freddezza va ricercata nelle tensioni esplose negli ultimi mesi tra il Vaticano e il governo israeliano, in particolare dopo le ripetute e dure critiche di Papa Francesco all’operato di Israele nella Striscia di Gaza.
Il Papa aveva definito “immorali” i bombardamenti sui civili palestinesi, parlando apertamente di “crudeltà” e di una situazione che “ha le caratteristiche del genocidio”. Queste dichiarazioni hanno profondamente irritato il governo Netanyahu, che ha visto nella posizione del pontefice una delegittimazione internazionale della propria azione militare e una mancata attenzione al dolore degli israeliani dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.
Il clima si è ulteriormente inasprito quando, alla morte di Francesco, il ministero degli Esteri israeliano ha ordinato la cancellazione di qualsiasi messaggio pubblico di cordoglio, lasciando trasparire la volontà di non riconoscere al pontefice il ruolo di interlocutore imparziale.
Questa scelta, secondo molti osservatori, rischia di isolare ulteriormente Israele agli occhi della comunità cattolica mondiale e di danneggiare anche le prospettive di figure come il Patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa, considerato papabile e vicino alle posizioni di Francesco sulla questione palestinese.
In queste ore, alcune fonti diplomatiche israeliane hanno lasciato intendere che la coincidenza dei funerali con lo Shabbat possa essere utilizzata come pretesto ufficiale per giustificare l’assenza di Netanyahu e di altri rappresentanti di alto rango. Tuttavia, nessuno sembra credere che si tratti di una mera questione di calendario: la realtà è che la distanza tra il Vaticano e il governo israeliano è oggi più profonda che mai.
Non tutti, però, condividono questa linea di silenzio. Ex ambasciatori israeliani presso la Santa Sede hanno criticato la scelta del governo, sottolineando che Francesco è stato una guida spirituale per oltre un miliardo di persone e che il silenzio rischia di trasmettere un messaggio sbagliato e controproducente per l’immagine di Israele.
L’assenza di Netanyahu si accompagna a quella di Vladimir Putin, ma le motivazioni sono differenti. Per il leader russo, il rischio concreto di arresto in Italia a causa del mandato della Corte Penale Internazionale per i crimini commessi in Ucraina è stato determinante.
In realtà, il mandato non è stato ancora trasmesso dalle autorità italiane alla corte competente, ma la presenza di Putin sarebbe stata comunque fonte di imbarazzo e tensioni diplomatiche con molti dei leader occidentali presenti. La Russia sarà rappresentata solo dal ministro della Cultura, mentre Israele invierà l’ambasciatore presso la Santa Sede.
L’assenza di Netanyahu ai funerali di Papa Francesco è dunque il risultato di una scelta politica precisa, che riflette il deterioramento dei rapporti tra Israele e il Vaticano e il rifiuto di riconoscere la legittimità delle critiche mosse dal pontefice all’operato israeliano a Gaza.
In un contesto di grande visibilità internazionale, il silenzio e l’assenza del premier israeliano assumono il valore di un messaggio inequivocabile: la distanza tra le due sponde del Mediterraneo, oggi, appare più ampia che mai.