Aumento pensioni 2026: i trattamenti previdenziali e assistenziali degli italiani cresceranno dello 0,8% (secondo le stime del Documento di economia e finanza – DEF 2025) in linea con l’inflazione, come previsto dalla legge 448/1988. Il ritorno alla piena rivalutazione – seppur proporzionale – rappresenta una svolta attesa da tempo, ma non è tutto così semplice.
Non serve perdersi tra numeri e calcoli: tecnicamente, la rendita pensionistica aumenterà in misura piena per le pensioni basse, mentre per gli assegni di importo più elevato è previsto un adeguamento solo parziale. Anche le pensioni minime e i trattamenti assistenziali beneficeranno di incrementi e, in alcuni casi, si ipotizzano aumenti straordinari.
Attenzione, però: chi andrà in pensione tra il 2025 e il 2026 potrebbe vedere un calo dell’importo a causa dell’applicazione dei nuovi coefficienti di trasformazione.
In un contesto così articolato, dove convivono vantaggi e penalizzazioni, è fondamentale capire cosa cambia davvero. Vediamo insieme come funzionano gli aumenti previsti e quanto ti spetta.
Quando si parla di rivalutazione e di ritorno alle vecchie regole, a tirare un sospiro di sollievo non sono sempre i pensionati. Un segnale che mette in luce, ancora una volta, la scarsa fiducia riposta in un sistema previdenziale spesso più orientato a misure restrittive che a garantire benefici concreti per lavoratori e pensionati.
Ma questa volta non ci sono alibi: la prudenza nei conti pubblici non può essere l’unica bussola. A partire dal 1° gennaio 2026 entreranno in vigore importanti modifiche al sistema pensionistico, che interesseranno sia i neo-pensionati che chi è già in pensione.
Ed è proprio qui il nodo centrale: se da un lato l’applicazione della rivalutazione automatica porterà ad aumenti delle pensioni, dall’altro lato i nuovi pensionati del biennio 2025-2026 rischiano penalizzazioni economiche a causa dell’aggiornamento dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo.
L’anello di congiunzione che dovrebbe proteggere le pensioni dall’erosione causata dall’inflazione è la rivalutazione degli assegni pensionistici e assistenziali, regolata dalla legge n. 448/1998, in vigore dal 1° gennaio 1999.
Tuttavia, mentre l’inflazione continua a salire, gli adeguamenti delle pensioni risultano spesso modesti. Questo rappresenta un problema non trascurabile, perché incide direttamente sul potere d’acquisto dei pensionati, che rischiano di non vedere riconosciuto appieno il valore reale dei loro trattamenti.
La normativa prevede che la rivalutazione venga applicata sulla base dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie, calcolato dall’ISTAT. L’aumento, tuttavia, non è uniforme: viene distribuito proporzionalmente in base all’importo della pensione percepita, seguendo uno schema a fasce.
Come spiegato da InvestireOggi.it, a partire dal 1° gennaio 2026 entrerà in vigore un nuovo sistema a scaglioni, così articolato:
La rivalutazione delle pensioni ha lo scopo di tutelare la rendita mensile dall’erosione causata dall’inflazione, garantendo un adeguamento degli importi percepiti. Secondo QuiFinanza.it, l’inflazione stimata per il 2025 si attesta allo 0,8%. Questo valore rappresenta il parametro su cui si calcolano gli aumenti delle pensioni a partire dal 1° gennaio 2026, secondo quanto previsto dalla legge n. 448 del 1998.
Tuttavia, l’aumento non sarà uguale per tutti i pensionati, poiché viene applicato secondo fasce d’importo:
Ecco alcuni scenari per capire meglio l’impatto degli adeguamenti:
Come si può notare, più alta è la pensione, minore è la percentuale effettiva riconosciuta sull’intero importo, a causa del meccanismo di rivalutazione a scaglioni.
Purtroppo sì: chi andrà in pensione tra il 2025 e il 2026 dovrà fare i conti con una penalizzazione sull’assegno previdenziale. Questo perché, per chi va in pensione con il sistema contributivo, saranno applicati i nuovi coefficienti di trasformazione del montante contributivo.
Con il Decreto Direttoriale del 20 novembre 2024, il Ministero del Lavoro ha ufficializzato l’adozione dei nuovi coefficienti per il biennio 2025-2026. Il risultato? Una riduzione dell’importo annuo della pensione, che può variare dall’1,55% al 2,18%, a seconda dell’età di accesso al pensionamento.
Ecco un esempio per capire meglio l’impatto della variazione:
Immaginiamo un lavoratore con un montante contributivo di 400.000 euro che decide di andare in pensione a 67 anni: