15 Apr, 2025 - 13:36

Cosa significa il finale di Tremila anni di attesa, con Idris Elba e Tilda Swinton, su Netflix

Cosa significa il finale di Tremila anni di attesa, con Idris Elba e Tilda Swinton, su Netflix

Tremila anni di attesa, su Netflix, è un film erroneamente sottovalutato. Diretto da George Miller, è un viaggio affascinante tra mito e realtà, dove la narrazione si intreccia con l'emozione.

Il film racconta l'incontro tra Alithea (Tilda Swinton), una narratologa solitaria, e un Djinn, un genio della lampada, (Idris Elba) che le offre tre desideri. Ma cosa significa il finale? Scopriamo i dettagli.

Cosa significa il finale di Tremila anni di attesa, film su Netflix con Idris Elba e Tilda Swinton

Prima di continuare nella lettura, ti consiglio di guardare il trailer, grazie al canale di Mr. Movie Italia:

Il culmine emotivo di "Tremila anni di attesa" arriva con l'ultimo, struggente desiderio espresso da Alithea. Dopo aver ascoltato le incredibili storie millenarie del Djinn, intrise di amore, perdita, prigionia e desiderio di libertà, Alithea comprendere che deve tenere conto dei suoi limiti.

Si rende conto, con dolorosa lucidità, che la Londra contemporanea, con la sua invisibile ma pervasiva rete di frequenze elettromagnetiche – dai cellulari al Wi-Fi, alle onde radio –  tossica per l'essenza stessa del Djinn. La sua presenza in quel contesto non è sostenibile; lo sta lentamente consumando, facendo scomparire la sua energia vitale.

Di fronte a questa realtà, Alithea compie un atto di amore supremo e altruista. Rinuncia al proprio desiderio di avere il Djinn al suo fianco, una compagnia che aveva iniziato a colmare la sua solitudine accademica.

Alithea non sopportava di vederlo soffrire. Si rendeva conto che era egoista da parte sua chiedergli di rimanere per un desiderio. L'amore non era questo, e quindi desiderava che tornasse al suo posto. 

Invece di chiedere qualcosa per sé come ultimo desiderio, desidera che lui ritorni al suo "luogo d'origine", un regno etereo al di là delle interferenze umane, dove può esistere senza soffrire.

È un sacrificio potente: la sua felicità personale passa in secondo piano rispetto al benessere e alla libertà dell'essere che ha imparato ad amare attraverso i suoi racconti.

Tuttavia, questa separazione fisica non segna una fine definitiva. Nella scena finale, infatti, vediamo che il Djinn, pur liberato e tornato nel suo elemento, continua a far visita ad Alithea.

Queste apparizioni non sono più dettate da un obbligo o da una prigionia dovuta ai desideri espressi, ma da un legame affettivo che ha trasceso le dimensioni, il tempo e lo spazio. Simboleggiano una connessione che va oltre la semplice presenza fisica, nutrita dalla comprensione reciproca e dall'affetto nato dall'atto di raccontare e ascoltare.

I racconti del genio sono finestre su mondi perduti

Le narrazioni del Djinn non sono semplici aneddoti esotici; sono finestre su mondi perduti, specchi delle passioni umane (e non) e, soprattutto, catalizzatori per l'introspezione di Alithea.

Attraverso le sue vicende, lei riesce a scoprire indirettamente emozioni, desideri e paure che aveva a lungo represso nella sua vita ordinata e solitaria.

Le storie diventano un ponte empatico, e le permettono non solo di capire meglio il genio, ma anche di riscoprire e comprendere parti nascoste di sé stessa. In questo modo riesce a trovare un nuovo senso di connessione con il mondo e con la propria interiorità. Il finale, quindi, celebra l'amore nella sua forma più disinteressata e il potere immortale delle storie di plasmare le nostre vite e creare legami indissolubili.

Il genio era reale o Alithea l'ha immaginato?

Il dubbio sul fatto che il genio sia reale, nasce dal precedente di Enzo, l'amico immaginario che Alithea si era creata da bambina per bisogno di compagnia e immaginazione, ma che poi aveva "cancellato" bruciando i suoi disegni. Questo dimostra la capacità e la tendenza di Alithea a creare esseri per colmare vuoti emotivi.

È quindi possibile che anche il Djinn sia frutto della sua immaginazione, specialmente dopo aver avuto visioni di altre figure simili durante il giorno, come un modo per dare un senso a quelle esperienze e soddisfare un bisogno di storie e compagnia.

Ma, l'argomento più forte a favore della realtà del Djinn è che Alithea lo presenta ai suoi vicini, i quali sono in grado di vederlo. Inoltre, il Djinn stesso si preoccupa di nascondere le sue orecchie a punta con un cappuccio, un dettaglio inutile se fosse solo immaginario.

In conclusione, sebbene Enzo fosse sicuramente immaginario, il genio era molto probabilmente reale. 

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