07 Apr, 2025 - 18:14

Generazione disincantata: i giovani tra astensionismo e nuove forme di attivismo

Generazione disincantata: i giovani tra astensionismo e nuove forme di attivismo

Il voto dei giovani in Italia vale sempre meno. Non tanto sul piano formale - ogni voto ha, almeno sulla carta, lo stesso peso - quanto su quello sostanziale. Secondo i dati del Censis, l'astensionismo tra gli under 30 supera il 50%, e non si tratta solo di disinteresse, ma di sfiducia strutturale.

La politica italiana, semplicemente, non parla più ai giovani. Non li rappresenta. Un dato che allarma, soprattutto se confrontato con la crescente instabilità politica e l'assenza di rappresentanza che caratterizza questa fascia demografica.

Ma cosa ha portato a questa disaffezione? E quali sono le conseguenze sul sistema democratico italiano?

Astensionismo e non voto: chi sono i giovani che votano e chi no

Nel 2022, solo il 42% dei giovani tra i 18 e i 25 anni si è recato alle urne per le elezioni politiche. In alcune città del Sud si è toccato anche il 30%. È un tracollo che ha portato i politologi a parlare di "generazione astensionista". Il confronto con altri paesi europei è impietoso: in Francia e Germania, l'affluenza giovanile è in media di 10-15 punti più alta.

Sempre nel 2022, solo il 17% dei candidati al Parlamento aveva meno di 35 anni. Eppure, quella fascia demografica rappresenta circa il 20% della popolazione. Secondo i dati del Parlamento europeo, l'età media dei parlamentari italiani è tra le più alte dell'UE, segnale quindi di una rappresentanza sbilanciata. D'altronde nessuno fa una bella figura pensando al leghista Antonio Angelucci, che ha quasi il 100% di assenze in Parlamento...

Uno scollamento che si traduce anche in diseguaglianza generazionale nelle politiche pubbliche: meno investimenti su scuola, ricerca e occupazione giovanile; più risorse per pensioni e bonus elettoralistici.

Risultato? I giovani si allontanano dalle urne, e la politica si adagia su un corpo elettorale sempre più anziano, riducendo ulteriormente gli stimoli a cambiare.

Scuola e cittadinanza: cosa manca nell'educazione civica

Le forze politiche sembrano divise sul da farsi. Il Partito Democratico, sotto la guida di Elly Schlein, ha promesso un rinnovamento generazionale, ma fatica a tradurlo in un'azione concreta. Il Movimento 5Stelle, un tempo portabandiera dell'"uno vale uno", si è progressivamente istituzionalizzato.

La destra, da Fratelli d'Italia alla Lega passando per Forza Italia, punta a un elettorato più maturo, lasciando ai giovani solo le briciole del discorso pubblico. Alcune sue battaglie politiche, poi, sembrano assumere toni grotteschi, come la guerra che il ministro dell'Istruzione Valditara ha lanciato contro asterischi e schwa nelle comunicazioni scolastiche.

Negli ultimi mesi sono arrivate proposte sparse e di tutti i colori politici, dall'"election day" suggerito da Carlo Calenda al "bonus cultura" per chi partecipa alle elezioni o la digitalizzazione del voto. Tuttavia, il vero nodo resta la necessità di una riforma strutturale della partecipazione: più educazione civica, più spazi di protagonismo e una reale inclusione nelle decisioni.

L'assenza di educazione civica strutturata nelle scuole, il disinteresse mediatico per le questioni giovanili e la precarietà diffusa contribuiscono a generare apatia e un paradosso: i giovani non si sentono rappresentati, quindi non votano; ma non votando, finiscono per essere ancor meno considerati dalle forze politiche.

In diversi paesi europei, come la Spagna e la Germania, ci si interroga sui fenomeni di radicalismo politico - specie legato all'estrema destra - che le piattaforme social producono in chi ne fruisce i contenuti. Sono principalmente maschi, bianchi, stanchi di un mondo percepito come eccessivamente attento al globale e non al particolare, e che sfruttano le lacune dei programmi scolastici per trovare informazioni alternative sui fatti storici.

In territorio spagnolo molti video su TikTok hanno documentato un ritorno di alcune canzoni legate al regime franchista, un retroterra culturale e nostalgico che fa felice il partito Vox di Santiago Abascal.

Oltre le urne: i giovani e l'"attivismo fluido"

Attenzione però: i giovani non sono apolitici. Semmai, praticano una politica diversa. Dalle mobilitazioni per il clima alla difesa dei diritti civili, fino alla militanza nei collettivi universitari e nei movimenti di base, l'interesse per la res publica non manca. È il sistema dei partiti, in realtà, che non sa intercettarlo.

Il rischio è evidente: un'intera generazione può smettere di considerare la democrazia come rappresentativa come uno strumento utile. E quando una parte significativa della cittadinanza si ritira dalla sfera pubblica, il sistema scricchiola. Si apre così il paradosso dell'"irrilevanza democratica": votare o non votare non cambia nulla, e quindi si smette di farlo. 

Non basta invitare i giovani a votare. Serve restituire senso e dignità alla partecipazione. E questo implica uno sforzo collettivo: dalla scuola alla politica, passando per le istituzioni e i media. Altrimenti resterà solo lo stupore per l'astensionismo, senza porre un efficace freno al fenomeno.

I tre punti salienti dell'articolo

  • Astensionismo giovanile record: in Italia, oltre il 50% dei giovani under 30 non vota, con un’affluenza del 42% tra i 18-25enni nel 2022, segno di una sfiducia strutturale verso una politica che non li rappresenta e privilegia un elettorato anziano.

  • Rappresentanza sbilanciata: solo il 17% dei candidati al Parlamento nel 2022 aveva meno di 35 anni, nonostante i giovani siano il 20% della popolazione, mentre l’età media dei parlamentari italiani è tra le più alte d’Europa, con politiche pubbliche che trascurano scuola e occupazione giovanile.

  • Alternative e proposte: i giovani si impegnano in un “attivismo fluido” (clima, diritti civili), ma i partiti faticano a coinvolgerli. Proposte come l’election day di Calenda o una riforma dell’educazione civica mirano a invertire il trend, ma serve un cambiamento profondo per ridare senso alla partecipazione.
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