Ci sono casi che, per loro natura, sconvolgono, lasciando un'impronta indelebile nella memoria collettiva. Si pensi al caso del piccolo Tommaso Onofri - rapito e ucciso a soli 18 mesi nel Parmese - che ancora oggi, in Italia, continua ad essere ricordato con orrore. Oppure a quello di James Bulger, che scosse la città di Liverpool, in Inghilterra, e che, per molti resta "il crimine più efferato di sempre". Per ricostruirlo, dobbiamo tornare indietro nel tempo.
È il 12 febbraio 1993. Sono da poco passate le 15 e al centro commerciale "New Strane" di Bootle, a 12 minuti circa da Liverpool, è pieno di gente quando, all'improvviso, James Bulger, di appena due anni, viene perso di vista dalla madre, Denise, e scompare.
La donna, preoccupata, da' subito l'allarme. Il suo primo pensiero è che il bimbo, gironzolando tra i negozi, possa essersi perso. Oppure che si sia nascosto. Le ore, però, passano e lui non si trova. Visionando i filmati delle telecamere di sorveglianza, i poliziotti scoprono che alle 15:42 è uscito dal bazar insieme ad altri due bambini.
I video sono tutt'altro che nitidi: chi li osserva non riesce a risalire all'identità di coloro che erano insieme al piccolo. Si decide dunque di organizzare una conferenza stampa in cui divulgare le immagini. La speranza è che James abbia seguito i ragazzini e che insieme si siano messi a giocare da qualche parte, perdendo la cognizione del tempo.
I genitori lanciano degli appelli, invitando chiunque possa averli visti a farsi avanti e parlare. Il 14 febbraio, poi, succede qualcosa: due fratelli, avventurandosi lungo le rotaie di una ferrovia distante circa quattro chilometri dal centro commerciale, scoprono il corpicino senza vita del bambino, segnalandolo alle autorità. L'autopsia stabilisce che Jamese è morto dopo aver subito violenze atroci.
A quel punto, il caso si trasforma in omicidio. E i sospetti si concentrano proprio sui bambini che, tenendolo per mano, lo avevano portato fuori dal centro commerciale. I poliziotti pensano che siano stati adescati da un adulto e convinti a farsi seguire da James. Che poi sarebbe stato ucciso.
Dopo una serie di buchi nell'acqua, grazie a una segnalazione anonima, si arriva ai nomi dei due ragazzini. Hanno entrambi 10 anni ed entrambi vengono da famiglie disfunzionali. Il primo, Robert Thompson, vive insieme alla madre (divorziata e alcolizzata) e ai sei fratelli, che spesso lo bullizzano.
Il secondo, Jon Venables, di fratelli ne ha due, anche loro con problemi. La madre, depressa, ha tentato più volte il suicidio. Le insegnanti dicono che ha difficoltà ad integrarsi e che spesso è violento. Nel corso di accertamenti, a casa di entrambi si scoprono indumenti macchiati di sangue.
Vengono interrogati e, dopo aver negato ogni responsabilità ed essersi accusati l'un l'altro dell'accaduto, cedono, confessando di essere loro, gli autori del tragico delitto. La notizia scuote la comunità. In tanti si chiedono come sia possibile alla loro età arrivare a compiere un crimine così efferato.
Robert e Jon raccontano di aver saltato la scuola e di essersi recati al centro commerciale e aver rubato diversi oggetti: un pupazzo, delle pile e un barattolo di vernice blu. Per poi adescare il piccolo James e portarlo via con loro.
Dicono di averlo picchiato e colpito con dei mattoni e una spranga. Di averlo spogliato e molestato. Fino a lasciarlo inerme sulle rotaie nella speranza che un treno lo travolgesse, eliminando ogni traccia del delitto.
Alla fine del processo a loro carico, entrambi, nonostante la minore età, vengono riconosciuti colpevoli. Nel 2001, in seguito a una revisione del processo, vengono liberati e ammessi a un programma di protezione speciale, cambiando identità.
L'unico a far avere sue notizie da allora è stato Jon, che per ben due volte, nel 2010 e nel 2017, è stato arrestato per possesso e divulgazione di materiale pedopornografico. Molte persone li ricordano e ricordano la loro vittima, la cui storia - che a molti riporterà alla mente quella del piccolo Tommy - ha liberamente ispirato il film Boy A, tratto dall'omonimo romanzo.