Negli anni d'oro della musica italiana, artisti e cantautori sembravano non aver paura di prendere posizione, di inserire nei testi delle proprie canzoni messaggi politici forti e chiari. Erano gli anni di De Andrè, Guccini, De Gregori, Bennato, dei CCCP, di artisti che usavano il mezzo musicale come veicolo per la denuncia sociale.
Quell'epoca oggi sembra però definitivamente tramontata. Il disimpegno ha preso il sopravvento, si è diffuso in larghi strati della società (anche italiana) un senso di sfiducia e di disillusione verso problemi che non possono essere risolti dalla "gente comune". L'industria musicale è cambiata tanto con l'avvento di aziende come Spotify e dell'IA: la musica è diventata uno strumento di intrattenimento da ascoltare distrattamente fra una playlist e l'altra.
Una recente intervista de I Negrita, che presentano il loro ultimo album "Canzoni per anni spietati", ha riportato al centro delle discussioni la musica impegnata a livello politico in Italia. È possibile tornare ai tempi d'oro degli anni '60-'70 o molti hanno idealizzato con nostalgia un momento che forse non è mai esistito?
A rimettere al centro la parola e la denuncia ci hanno provato i Negrita con il loro nuovo album "Canzoni per anni spietati". Un disco che va in netta controtendenza rispetto alla leggerezza e al sentimentalismo imperante nel panorama musicale attuale. La band toscana ha voluto affrontare temi importanti, dalla crisi sociale al potere dell'informazione, passando per la politica e la guerra.
CANZONI PER ANNI SPIETATI, il nostro nuovo album, è FUORI ORA ovunque! ????????????
— Negrita (@negritaband) March 28, 2025
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Come dice Pau, il frontman della band toscana, servono "più ragazzi impegnati che persi nei telefonini". Dopo sette anni di silenzio, i Negrita tornano con un disco politico, folk e rock, ispirato a maestri come Bob Dylan e Woody Guthrie.
"Canzoni per anni spietati" era stato anticipato questo gennaio dal singolo "Noi siamo gli altri" e, come accennato, indica che i Negrita non vogliono restare in silenzio di fronte a ciò che sta accadendo in Italia in questi ultimi anni, dominati da divisioni e individualismi:
In tal senso può esser vista la rilettura della famosa canzone di Francesco De Gregori "Viva l'Italia" (ai tempi di Tangentopoli utilizzata come inno degli onesti).
Perché oggi così pochi artisti scelgono di esporsi? Negli ultimi decenni, il mondo della musica ha subito forti cambiamenti dettati anche dalla trasformazione del mercato discografico. Se fra gli anni '60 e '70 il cantautore impegnato era un punto di riferimento, oggi il mercato sembra premiare la neutralità e l'omologazione.
Viva la Liguria. Viva l’Italia. Viva Fratelli d’Italia. pic.twitter.com/02wZn7oN6T
— Giorgia Meloni (@GiorgiaMeloni) October 25, 2024
Il rischio di perdere ascoltatori, di subire danni d'immagine sui social, di essere etichettati come "troppo politicizzati" spinge molti artisti a restare in una confortevole zona grigia. Anche i pochi cantanti che si sono avvicinati negli anni a posizioni politiche più conservatrici, come Povia o Francesco Baccini, hanno spesso faticato a trovare spazio nei circuiti mainstream.
Edoardo Bennato, pur non allineato a un partito, ha spesso strizzato l'occhio a un ribellismo anarchico-libertario, mentre Al Bano e Michele Di Fiò sono più vicini a posizioni conservatrici, patriottiche e nazionaliste.
Allo stesso tempo, artisti come Daniele Silvestri, Manu Chao, Caparezza e Fiorella Mannoia hanno continuato a portare avanti messaggi impegnati, schierandosi su temi sociali e politici. La musica di denuncia non è scomparsa, ma ha perso la centralità di un tempo. Il grande pubblico sembra preferire chi si mantiene equidistante o realizza messaggi su misura per un pubblico allo stesso tempo vasto e indistinto, che legge nei testi ciò che più gli piace.
Dal canto suo l'industria musicale ha bisogno, per mantenersi attiva, di prodotti vendibili a tutti, senza cadere in polemiche inutili e controversie difficilmente risolvibili. L'idea del tormentone (non soltanto più estivo) si è imposta quasi come un must have nella discografia di cantanti o di gruppi.
Considerato tutto ciò, ci sarebbe tanto bisogno di artisti capaci di parlare della realtà, di raccontare il mondo con uno sguardo attento e critico. Il rock d'autore sembra essersi chiuso in una propria nicchia, mentre il rap è diventato il mezzo con il quale si ostentano ego e ricchezza.
Naturalmente ognuno di noi può dissentire e addurre esempi di rapper, trapper o cantanti che utilizzano un certo mezzo musicale per parlare di esperienze personali ma allo stesso tempo universali, per avvertire che dietro la patina del successo ci sono sacrifici o problemi.
“Viva l'Italia
— Giuseppe Conte (@GiuseppeConteIT) April 25, 2020
L'Italia liberata
L'Italia con gli occhi asciutti nella notte scura
Viva l'Italia, l'Italia che non ha paura
L'Italia con gli occhi aperti nella notte triste
Viva l'Italia
L'Italia che resiste”
(F. De Gregori) #25aprile pic.twitter.com/H77q20azol
In questo contesto, è interessante osservare come alcune realtà indipendenti stiano cercando di riportare l'impegno nella musica. Festival come il MEI (Meeting Etichette Indipendenti) danno spazio a voci fuori dal coro, mentre etichette come Garrincha Dischi o Woodworm hanno dato spazio ad artisti con un messaggio forte.
Gli spazi delle etichette indipendenti svolgono spesso il ruolo di unico spazio per la musica di protesta e per coloro che vogliono parlare di tematiche scomode. Resta da vedere se il pubblico sarà pronto o avrà voglia di accogliere questo cambiamento, rifiutando l'idea di esser "elevati" a verità più alte da cantanti che pensano di essere migliori.
Forse non torneremo ai tempi di Guccini o di De Andrè, ma è fondamentale che esistano ancora artisti disposti a rischiare e a ricordarci che la musica può rappresentare molto di più che un semplice sottofondo fra una festa e l'altra.