Le prime scene di "Adolescence", la nuova serie Netflix di cui tutti parlano e che sarebbe giusto scuotesse anche la politica, sono queste: Jamie è un ragazzino della provincia inglese che, una mattina, viene prelevato dalla polizia e messo agli arresti con l'accusa di omicidio. Ha tredici anni. È ammutolito, spaventato. Si bagna il pigiama. "Non ho fatto niente", mormora ai genitori mentre lo portano via.
E insomma: altro che cognome della mamma da dare ai figli, come ha suggerito Dario Franceschini, uno dei big del Partito Democratico che, evidentemente, per avanzare questa proposta è appena atterrato da Marte.
Chi ha figli adolescenti lo sa: i problemi che deve affrontare sono altri. Perché ha a che fare con la prima generazione cresciuta fin dalla nascita con uno smartphone in mano. Con la prima generazione di tredicenni (o giù di lì) il cui mondo non si limita più alla famiglia, la scuola, il vicinato, la squadretta con cui pratica lo sport preferito, ma fa parte di un universo a parte, incontrollabile, che si sviluppa senza confini sui social.
Ecco: come si fa a parlare con loro? Questa è la domanda che suscita la visione di "Adolescence". Una domanda la cui risposta dovrebbe essere facilitata anche dalla politica.
E insomma: prima o poi tutti noi sentiremo almeno parlare di "Adolescence". A livello globale, la serie tv di Netflix è stata la più vista con 24 milioni e 300 mila spettatori. In Gran Bretagna, dove è ambientata la storia di Jamie, il primo episodio è stato visto da 6 milioni e 450 mila persone: record per lo streaming britannico. E a Londra, il premier Keir Starmer ha deciso che dovrà essere mostrata anche nelle scuole, dove sarà lanciata una campagna contro la cultura misogina tra gli adolescenti. E sì: perché la serie tv prende le mosse da una ragazzina uccisa, ma di cui, in fin dei conti, nessuno si occupa.
Ma in Italia? La politica nostrana riuscirà a scuotersi, a fare qualcosa, dopo aver visto o sentito parlare di quella che promette di essere la serie dell'anno?
Del resto, nel secondo dei quattro episodi di "Adolescence", protagonista è il mondo della scuola dove è maturato l'omicidio: si racconta come si vive tra i banchi. E si scopre un universo sconosciuto ai "grandi".
Ma di temi e di frontiere da esplorare, la serie tv del regista Philip Barantini ne propone tantissimi. Ciò che, però, fa riflettere è che sono tutti ben lontani dal dibattito pubblico e politico nostrano.
Per dirne un'altra, oltre al già citato Franceschini che vuole dare ai figli il cognome solo della madre "per risarcirle di un'ingiustizia secolare". Un paio di settimane fa, il ministro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha presentato i nuovi programmi ministeriali: ciò che vorrebbe i ragazzi italiani studiassero a scuola. C'è la poesia e la storia dell'Occidente, la Bibbia già alle elementari, più attenzione al corsivo, il ritorno del latino alle medie. Ma ancora niente riguardo la tanto invocata educazione sessuale e affettiva.
E dire che lo psicologo Luca Mazzucchelli, ad esempio, ha avuto modo di chiedere al filosofo Umberto Garimberti dove si imparano i sentimenti. E lui ha dato questa risposta:
Come dire: spunti per mettere in grado la scuola di evitare casi-Jamie ce ne sono. Ma la politica se ne prende carico realmente?
"Adolescence", naturalmente, parla di adolescenti. Come ha scritto oggi su Repubblica lo scrittore Francesco Piccolo, "parla dei nostri figli, cerca di raccontare questioni che sono diffuse tra loro ma che noi, invece, dobbiamo andare a cercare su Google".
Si parla di "incel" (letteralmente: celibi involontari che attribuiscono questo status al loro non essere attraenti, al di là di ogni loro possibile sforzo per esserlo), mentre la politica si attarda sulle teorie gender. Ma anche della differenza tra ragazzini e ragazzine, mentre noi ce ne occupiamo solo per un sondaggio di carattere elettoralistico, quando va bene.
Ieri, il Corriere della Sera, ad esempio, ha pubblicato un'analisi a loro dedicata dell'Osservatorio Monitoring Democracy della Bocconi secondo la quale, come verificatosi negli Usa, i ragazzi si schierano a destra e le ragazze a sinistra. Il loro, se ne desume, è un voto polarizzato perché la politica spinge i giovani verso gli estremi.
Ma questi, come detto, sono dati buoni solo per una riflessione di carattere elettorale. Sono dati buoni per i partiti. Non per altri. Anche se la serie tv dell'anno ci ricorda come sia importante mettersi in connessione con tutti.