L'intervista rilasciata oggi al quotidiano "Repubblica" dal vicesegretario della Lega, Claudio Durigon, sulle difficoltà del Ministro degli Esteri Antonio Tajani sta facendo tremare l'esecutivo.
Non era mai accaduto, in questi primi due anni e mezzo di governo, che l'esponente di uno dei tre partiti di maggioranza criticasse apertamente un leader alleato. Invece è proprio quello che è accaduto con le dichiarazioni del sottosegretario della Lega, uomo di fiducia di Matteo Salvini, che ha criticato apertamente il vicepremier di Forza Italia.
Dichiarazioni che evidenziano la profonda spaccatura - sempre smentita dagli interessati - nella maggioranza. Giorgia Meloni al momento tace e lo stesso fanno gli esponenti di Fratelli d'Italia.
Chi non tace, invece, è il centrosinistra. Ci sono governi che sono caduti per molto meno e il viceministro Durigon ha fornito a Elly Schlein e agli altri leader di opposizione l'assist ideale per provare a dare la spallata definitiva al governo che mai come in questi giorni pare essere fragile e diviso.
Le parole del sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, sulle 'difficoltà' del Ministro Tajani stanno scuotendo dalle fondamenta il governo, la cui stabilità si basa sull'accordo tra le tre forze politiche che lo compongono: FDI,FI e Lega.
Nella sua intervista, l'esponente del Carroccio ha sostenuto che il Ministro degli Esteri avrebbe difficoltà nei rapporti con il governo degli Stati Uniti e che dovrebbe farsi aiutare da Matteo Salvini che, invece, è in ottimi rapporti con l'amministrazione Trump.
"Tajani è in una posizione un po’ difficile, visto che è un sostenitore di Ursula e del suo piano di riarmo. Per questo credo che sia utile se si facesse aiutare. Stare al governo è un gioco di squadra, i rapporti della Lega, di Salvini, con Washington possono essere utili per l’Italia."
E' chiaro il riferimento alla telefonata di due giorni fa tra Matteo Salvini e il vicepresidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, che sembrerebbe aver irritato il suo collega vicepremier e la presidente Meloni.
Parole che potrebbero essere facilmente interpretate come un atto di sfiducia nei confronti del titolare del Ministero degli Esteri. Eventualità che sarebbe gravissima e rischierebbe di mettere in pericolo la tenuta della maggioranza.
Il vicepremier Antonio Tajani, per il momento, sceglie la via della diplomazia evitando lo scontro diretto, almeno davanti ai microfoni e alle telecamere. Commentando le dichiarazioni dell'alleato di governo circa le sue presunte difficoltà in politica estera e nei rapporti con gli Usa, ha detto:
Il richiamo agli elettori, però, potrebbe non essere un buon segnale per il futuro dell'esecutivo.
Per l'opposizione di centrosinistra il Re è nudo e scaglia l'attacco congiunto alla maggioranza di governo.
La prima è la segretaria del Pd, Elly Schlein, per la quale le parole di Durigon sono una chiara sfiducia per il vicepremier Antonio Tajani, che arriva dopo il 'commissariamento' di Giorgia Meloni sul riarmo europeo.
dichiara la segretaria dem che poi continua:
Dello stesso avviso anche il segretario di +Europa, Riccardo Magi, e il leader di AVS, Angelo Bonelli per il quale le parole di Durigon certificano la rottura in maggioranza.
Ci sono governi che sono caduti per molto meno. È vero, ma gli alleati escludono questa possibilità. L'altro vice-segretario della Lega, Andrea Crippa, garantisce per la solidità della maggioranza, e sul ruolo di collante della Lega.
Anche Antonio Tajani cerca di allontanare le voci di una possibile crisi di governo sottolineando il ruolo di Forza Italia nel sostegno al governo:
E Giorgia Meloni? Al momento non interviene e lascia i due alleati ad accapigliarsi. Un modo per abbassare i toni della polemica, o dietro c'è un'altra strategia?
La premier, infatti, potrebbe avvantaggiarsi della spaccatura tra i due alleati, ponendosi come mediatore per mantenere unita la coalizione. In questo modo Meloni rafforzerebbe la sua leadership interna, a discapito degli alleati con un'ulteriore centralizzazione delle decisioni del governo.
Insomma, tra i due litiganti il terzo gode. A meno che non si arrivi all'apertura di una crisi di governo.