Il verdetto emesso da una giuria del Dakota del Nord contro Greenpeace ha avviato un acceso dibattito sul futuro delle proteste ambientaliste. Con una sanzione record di oltre 660 milioni di dollari, la decisione solleva interrogativi sulla libertà di manifestazione e sulle ripercussioni che potrebbe avere sulle organizzazioni ambientaliste. Il caso, legato alle proteste contro l'oleodotto Dakota Access, potrebbe rappresentare un precedente per future controversie legali. Questa condanna Rischia anche di scoraggiare attivisti e movimenti ecologisti?
Una giuria del Dakota del Nord ha stabilito che Greenpeace deve versare oltre 660 milioni di dollari per le azioni intraprese contro l'oleodotto Dakota Access. Il verdetto ha acceso polemiche e sollevato interrogativi sul futuro finanziario dell'organizzazione ambientalista, con alcuni che ipotizzano un possibile rischio di bancarotta.
La vicenda ha origine nelle manifestazioni iniziate nell’aprile 2016 e durate fino al febbraio 2017. Migliaia di persone si erano radunate vicino al controverso tratto dell'oleodotto che attraversa il fiume Missouri, a monte della riserva della tribù Sioux di Standing Rock. Gruppi e tribù di nativi americani, da tempo contrari alla costruzione dell'infrastruttura, avevano espresso preoccupazioni per il rischio di contaminazione delle risorse idriche locali temendo che una possibile fuoriuscita di petrolio potesse inquinare le riserve naturali. Le proteste, sfociate in scontri con le autorità, avevano portato a centinaia di arresti.
L'azienda Energy Transfer e la sua sussidiaria Dakota Access hanno citato in giudizio Greenpeace accusandola di aver tentato di ostacolare la costruzione dell'oleodotto. La causa intentata coinvolge Greenpeace International, Greenpeace USA e la sua divisione finanziaria Greenpeace Fund Inc. Sono accusati di atti tra cui violazione di proprietà privata, diffamazione e molestie. I legali di Greenpeace hanno respinto le accuse sostenendo che l’organizzazione non ha guidato le proteste ma ha fornito supporto per "un addestramento all'azione diretta e non violenta".
Secondo la giuria, Greenpeace è responsabile di diffamazione e altre violazioni, mentre Energy Transfer ribadisce che l’oleodotto, operativo dal 2017, è sicuro.
Fondata nel 1971, Greenpeace è oggi una delle più grandi organizzazioni ambientaliste al mondo, con una rete globale che comprende sedi nazionali e regionali in oltre 55 paesi. Da oltre mezzo secolo, l'organizzazione porta avanti campagne per la tutela degli ecosistemi, opponendosi alle industrie dei combustibili fossili attraverso azioni non violente.
Nel corso degli anni, Greenpeace ha affrontato numerose battaglie legali per le sue attività di protesta. Dopo la sentenza del Dakota del Nord, Greenpeace Usa ha annunciato che la battaglia legale non è ancora conclusa e che presenterà ricorso contro la decisione della giuria.
BIG NEWS: A jury has reached a verdict that Greenpeace entities are liable for over $660 million in damages in our trial against Big Oil company Energy Transfer.
— Greenpeace USA (@greenpeaceusa) March 20, 2025
This is far from over. We’re going to appeal. And we’re prepared to fight this all the way to victory. pic.twitter.com/haO9BW4tvT
Il processo rappresenta un caso chiave per la libertà di espressione e di manifestazione. Il verdetto potrebbe essere interpretato come un attacco alle proteste pacifiche e alla sovranità indigena. Inoltre, potrebbe creare un precedente per altre cause simili, aggravando ulteriormente le controversie legali legate alla difesa dell’ambiente.
Dal punto di vista finanziario, la sentenza potrebbe rappresentare un duro colpo per Greenpeace. L'organizzazione si finanzia esclusivamente attraverso donazioni individuali e sovvenzioni di fondazioni e la multa imposta dalla giuria è tra le più ingenti mai inflitte a un’organizzazione ambientalista.
Nonostante le possibili difficoltà economiche, Greenpeace non sembra intenzionata a ridurre il proprio impegno. Con il processo di ricorso che potrebbe protrarsi per anni, l'organizzazione potrebbe dover adattare le proprie risorse e strategie operative per affrontare la situazione.
La condanna di Greenpeace rappresenta un momento cruciale per il movimento ambientalista e per il diritto alla manifestazione. Se da un lato la decisione della giuria potrebbe spingere altre aziende a intentare cause simili contro attivisti e Ong, dall'altro Greenpeace ha già annunciato battaglia legale, promettendo di non rinunciare alle proprie azioni. Il verdetto pone dunque una questione più ampia: fino a che punto le grandi corporazioni potranno ricorrere ai tribunali per reprimere le proteste e limitare l’attivismo ambientale?