O con Washington o con Bruxelles, o con Donald Trump o con Ursula von der Leyen. Non ci sono vie di mezzo o punti di contatto tra i due blocchi che si sono creati e la critica al Manifesto di Ventotene alla Camera dei deputati nella giornata di ieri, 19 marzo 2025, ne è la prova. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha detto di non essere d'accordo con il testo scritto durante il confino politico da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, considerato spesso come "la pietra fondante dell'Ue".
La posizione della premier sul Manifesto di Ventotene è stata in larga parte condivisa da molti esponenti della maggioranza, seppure con un tono di giustificazione: basti pensare al ministro degli Esteri Antonio Tajani che si è limitato a ribadire che la "propria" Ue è quella di De Gasperi, Adenauer e Schuman e che Meloni con le sue parole non avrebbe offeso Altiero Spinelli.
Nella lunga giornata di polemiche, emergono due fattori: l'opposizione esce compatta dopo l'intervento della presidente del Consiglio e potrà fare dell'europeismo il suo cavallo di battaglia nei prossimi mesi.
La seconda è che Meloni ha deciso da che parte stare a tre mesi dall'insediamento di Trump, e sicuramente non è vicina a Bruxelles. In questo momento, la presidente del Consiglio si è recata nella capitale belga per il Consiglio europeo, che verterà sul riarmo e sull'Ucraina.
A detta di molti, il clima più pesante si è respirato nella giornata di ieri in Aula e non ci saranno ripercussioni nei confronti di Giorgia Meloni durante il Consiglio europeo di oggi e domani, 20 e 21 marzo 2025, nel quale si affronterà il tema del riarmo e della pace giusta in Ucraina.
La presidente del Consiglio, poco prima di partire, ha pronunciato poche parole che hanno generato il caos nella Camera dei deputati: "Non è la mia Europa", ha detto riferendosi al Manifesto di Ventotene. Gli obiettivi della premier sono due: mantenere il fronte occidentale unito in Ucraina e trovare una soluzione ai dazi che gli Usa vorrebbero imporre all'Ue.
Quando Donald Trump si è insediato, la presidente del Consiglio italiana è stata la prima leader europea a recarsi a Washington. Da una parte, gli altri capi di Stato e di governo hanno visto nella premier la possibilità di creare un punto di connessione tra Bruxelles e la Casa Bianca, con la quale Meloni ha un rapporto privilegiato, dandole il ruolo di "ago della bilancia" in un momento storico difficile.
Negli ultimi mesi, però, le spaccature tra Washington e Bruxelles sono diventate sempre più evidenti e ora non sembra più possibile mantenere posizioni diplomatiche "di mezzo". Eppure Meloni sembra aver scelto da che parte stare: il no all'esercito europeo, la critica al Manifesto di Ventotene e il silenzio sulla legge anti-Lgbt di Viktor Orban lasciano intuire un'insoddisfazione sulla linea politica europea. Il vantaggio potrebbe essere quello di mantenere un rapporto privilegiato con Washington, impattando però sulle relazioni Roma-Bruxelles.
La linea Meloni emergerà durante il Consiglio europeo di oggi e domani? Tutto da vedere. Quel che è certo è che ora l'opposizione ha un punto sul quale essere compatta: l'europeismo, che con tutta probabilità sarà venduto come antidoto alle posizioni di Giorgia Meloni. Ieri a Montecitorio sono piovute tante polemiche da parte del centrosinistra, tranne che dal leader dei pentastellati Giuseppe Conte, assente in quel momento.
Forse, però, per Meloni è il caso anche di guardare in casa propria, prima di pensare all'opposizione. Da parte della Lega arrivano contestazioni per il riarmo e la maggioranza sul tema Europa sembra andare incontro a una spaccatura: FdI e Forza Italia all'Europarlamento di Strasburgo una settimana fa si erano detti favorevoli al ReArm Europe, mentre la Lega ribadisce la sua contrarietà.