20 Mar, 2025 - 11:30

"Adolescence": la miniserie Netflix più discussa del momento

"Adolescence": la miniserie Netflix più discussa del momento

 

"Adolescence", recensione

In una giornata all’apparenza come tante altre, alle prime luci del mattino, subito dopo l’alba, la polizia locale irrompe con violenza in una modesta villetta situata in un quartiere tranquillo di Wakefield, in Inghilterra. Con grande agitazione, gli agenti stanno cercando un sospettato di nome Jamie Miller, perché è stato identificato come il colpevole di un omicidio efferato avvenuto la notte prima. Si tratta forse di un criminale violento, reo confesso, con precedenti penali? No, Jamie è un ragazzino minuto di appena tredici anni e mentre i poliziotti si aggirano per casa urlando, i suoi dolcissimi occhi chiari si riempiono di lacrime. Sul suo splendido visetto dalla carnagione candida, con una manciata di lentiggini ramate a colorargli le gote e il nasino tondo, si palesa nitido un terrore spaventoso. Jamie non sarebbe in grado di fare paura a nessuno; peserà poco più di trenta chili scarsi e sembra ancora così piccolo. Ora se ne sta in piedi, pietrificato, nella sua camera, di fronte al suo lettino a una piazza, coperto da un piumone blu notte con su stampata una fantasia infantile fatta di stelle e pianeti del sistema solare. In un istante l’odore pungente della sua stessa urina riempie la stanza: terrorizzato, se l’è fatta addosso. Immobile, guarda suo padre disperato chiedendogli aiuto. Sua madre e sua sorella maggiore se ne stanno sdraiate in terra, coprendosi la testa con le mani tremanti. Nessuno di loro quattro sa cosa sta succedendo. Jamie non pare affatto capace di uccidere. Eppure sarà davvero innocente?

"Adolescence", critica

A che età si sviluppano i disturbi di personalità? Come influisce su di essi l’ambiente familiare e culturale nel quale si cresce? E nella moderna società che ruolo hanno, in tal senso, internet e i social network? Sembrano essere queste le principali domande intrinseche che “Adolescence”, la nuova miniserie drammatica scritta dallo sceneggiatore Jack Thorne insieme all’attore Stephen Graham, che interpreta anche una delle parti principali, e diretta dal regista Philip Barantini, vuole porre allo spettatore. La serie, suddivisa in quattro episodi, girati ognuno con un unico piano sequenza, è stata distribuita lo scorso 13 marzo sulla piattaforma di streaming Netflix. Il progetto è nato da un’idea di Stephen Graham che ha sentito l’urgenza di richiamare l’attenzione pubblica sull’improvviso aumento di aggressioni in strada a mezzo di coltello fra i giovani in Gran Bretagna, in particolare l’omicidio di Ava White, uccisa a coltellate nel 2021, a soli dodici anni, da un ragazzo di quattordici.

Nello specifico, la storia parte dall’arresto di Jamie Miller, un tredicenne accusato dell’assassinio di una sua compagna di scuola, per poi mostrare tutto il contesto nel quale è avvenuto il delitto e le sue ripercussioni non soltanto sui diretti interessati, ma anche sulla famiglia del colpevole, soprattutto sul padre. Il primo episodio è straziante e l’ottima recitazione di Owen Cooper, che interpreta il protagonista, ti lacera il cuore come una pugnalata. Un altro aspetto determinante nella riuscita dell’intera opera è la grandissima capacità attoriale di Graham che, nel ruolo del papà di Jamie, commuove fino all’ultima puntata.

Ma un punto importantissimo dell’intera narrazione è l’aver affrontato l’esistenza della Manosphere, un fenomeno nato sul web che mira a creare e incentivare un’idea distorta, tossica e machista del rapporto uomo/donna. In questo caso viene citato Andrew Tate, ex kickboxer e influencer di estrema destra, attualmente accusato in Romania di stupro plurimo e traffico di esseri umani, bannato da tutti i social network per la diffusione di idee misogine e violente, ma che purtroppo è soltanto la punta dell’iceberg di una realtà intossicata di aggressività e odio maschilista. Se è vero, ahimè, che queste ideologie malsane sono sempre esistite, così come il bullismo, è altrettanto vero che internet ne ha aiutato la diffusione anche e soprattutto fra gli adolescenti. Sembrerà una banalità, ma gli smartphone con accesso alla rete, pur essendo degli strumenti validi, sono capaci di divenire con facilità delle autentiche armi e in quanto tali non adatte a essere maneggiate e usate dai bambini. Dobbiamo prenderne atto una volta per tutte, perché a livello globale e sociale c’è una vera e propria emergenza che sta devastando la psiche dei più piccoli, dei più fragili, rendendoli bersaglio facile per trasformarli sia in vittime che carnefici. L’universo virtuale sta tirando fuori la parte più cattiva, meschina, sadica e rabbiosa del genere umano. Non a caso c’è un fortissimo aumento dello sviluppo dei disturbi di personalità e delle aggressioni, perché negli ultimi quindici anni non siamo stati in grado di maneggiare nel modo giusto tutto ciò che appartiene alla rete, insegnando ai ragazzi come farne buon uso.

A livello di regia avrei, per l’appunto, sviluppato meglio questo concetto, come altri, ma in quattro puntate era davvero difficile. Credo che l’unico limite di “Adolescence” sia questo, che si poteva scavare più a fondo sul tema del bullismo e della misoginia tra i giovanissimi, essendo tra l’altro il tema principale. Il primo e il terzo episodio sono i migliori, i più importanti, quelli cruciali nello sviluppo narrativo. Tre stelle virgola sette su cinque.

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Marta Micales
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