Bruno Conti spegne 70 candeline: il "brasiliano", come veniva definito da molti telecronisti sportivi nei tempi d'oro, nato il 13 marzo 1955 a Nettuno, è uno dei simboli più autentici non solo della nazionale italiana, ma anche dell'ambiente romanista, dato il suo attaccamento alla maglia dei capitolini. La sua carriera è un perfetto esempio di talento, sacrificio e amore per il calcio. Bruno è cresciuto in una famiglia umile: è in quel contesto che ha iniziato a giocare a calcio fin da bambino, affinando la sua tecnica nei campetti di periferia.
Eppure, il suo ingresso nel mondo professionistico non è stato immediato: inizialmente scartato da Helenio Herrera, che lo giudicò troppo minuto per il calcio di alto livello, Conti ha saputo smentire ogni critica con la sua classe e, soprattutto, il suo pezzo da novanta: il dribbling. Il suo talento lo ha portato a vestire la maglia giallorossa per quasi tutta la carriera, diventandone un'icona indiscussa.
Tutti ricordano Conti per le imprese con la nazionale italiana nel 1982, in Spagna, dove ha vissuto il sogno di ogni calciatore: vincere la Coppa del Mondo. Le sue giocate, i suoi assist e la sua capacità di creare occasioni da gol sono stati determinanti per il trionfo degli uomini di Enzo Bearzot. È stato il brasiliano più forte di sempre, Pelé, leggenda assoluta del calcio, a indicare il "ragazzo" di Nettuno come il miglior giocatore di quel torneo.
Eppure quando si parla di Roma, nonostante il riferimento vada subito a Francesco Totti, l'ottavo Re, è difficile dimenticare il contributo che Conti ha dato alla la maglia giallorossa. Il suo attaccamento è sempre stato totale, come dimostrano gli anni trascorsi in squadra e il contributo fondamentale dato alla vittoria dello storico scudetto nella stagione 1982-83.
I dribbling, la sua visione di gioco e la sua tecnica sopraffina hanno incantato generazioni di tifosi romanisti.
Oltre alle vittorie ci sono anche dei grossi rimpianti: uno dei più amari della sua carriera è stato senza dubbio la finale di Coppa dei Campioni del 1984, persa ai rigori contro il Liverpool.
Una sconfitta che ancora oggi brucia nei cuori dei tifosi romanisti: una giornata che ancora in tanti affrontano come un lutto. Il soprannome “MaraZico”, nato dalla fusione dei nomi di Maradona e Zico, è la dimostrazione del livello di stima che aveva guadagnato nel mondo del calcio. Nonostante il successo e la notorietà, Bruno Conti è rimasto sempre lo stesso: un uomo umile, legato alle sue origini e ai valori dello sport.
Il numero 7 della Roma non è stato apprezzato solo per le sue doti calcistiche, ma anche per la sua personalità e il suo carattere. È rimasto fedele ai principi di lealtà e sacrificio, incarnando i valori di un calcio che ormai sembra appartenere a un’altra epoca. La sua amicizia con Falcao e Pruzzo, il rispetto per Liedholm e Bearzot, la capacità di creare intesa con i compagni di squadra, raccontano di un uomo che non si è mai montato la testa, anzi, è rimasto ben saldo, coi piedi per terra.
L'ex jolly romanista, tra l'altro, ha recentemente rivelato di aver vinto l'ennesima sfida della sua vita, forse la più importante, quella contro un tumore maligno, diagnosticato circa due anni fa, al quale Conti è riuscito a fare un dribbling, come ha dichiarato lui stesso. L'ex centrocampista ha deciso di tenere segreto il corso della sua malattia, affrontandola nel privato attraverso l'affetto dei suoi cari, e ora sta bene, pronto a ritornare sui campi da calcio per dare il suo contributo alle nuove leve.