Julien (François Civil) è un insegnante maledettamente innamorato del suo lavoro. Insegna lettere in una scuola mista in quartiere popolare nella periferia di Parigi. Ha circa trent’anni e appartiene a quella generazione ancora convinta di poter cambiare le cose partendo dalle radici. Tentando di solleticare la curiosità dei ragazzi nei confronti della cultura, pensa di poterli spronare a cercare un obiettivo da perseguire, a trovare anche un piccolo appiglio in loro stessi per costruirsi un futuro migliore del contesto tossico che li circonda. Non c’è un briciolo di malizia nelle sue parole o nei suoi metodi didattici, anzi forse è addirittura troppo ingenuo per lavorare in un istituto con dei giovani che, cresciuti nella miseria e in realtà fatte di abusi, sono già fin troppo smaliziati.
Proprio per questo quando una mattina, all’improvviso, una delle sue migliori alunne lo accuserà di molestie, lui sprofonderà in uno stato asfissiante di angoscia e paranoia. Julien si dichiarerà da subito innocente, ma in men che non si dica la situazione sfuggirà di mano a tutti: colleghi, allievi, genitori dei ragazzi e finanche al preside. Però, pur potendo scagionarsi rivelando di essere omosessuale e di convivere col suo compagno Walid (Shaïn Boumedine), si rifiuterà di utilizzare il suo orientamento sessuale come prova del suo valore morale.
Era maggio del 2012 quando il regista danese Thomas Vinterberg presentò “Il Sospetto” alla 65ª edizione del Festival di Cannes. La pellicola vedeva protagonista l’attore Mads Mikkelsen, che durante il Festival vinse il premio per la miglior interpretazione maschile, alle prese con delle accuse infondate di molestie sessuali da parte di una bambina di soli quattro anni, figlia del suo migliore amico. Ricordo che quel film mi ha distrutta, lasciandomi devastata per giorni, alle prese con una sensazione soffocante d’inquietudine. Crudo, violento, ingiusto, “Il Sospetto” è un film che ci costringe a fare i conti con la parte più oscena, giudicante, violenta e vendicativa di noi stessi. Per quanto la pedofilia sia, giustamente, qualcosa che genera sconcerto e rabbia cieca e inarrestabile, spesso ci ritroviamo a sfruttare una semplice insinuazione senza prove per sfogare i nostri istinti più sadici e brutali. Se ci mettiamo in testa che qualcuno è colpevole a tutti i costi, al di là dei fatti provati e del ragionevole dubbio, perseguiamo quell’idea fino alla follia, anche dichiarando il falso, mettendo in mezzo i più piccoli, facendogli testimoniare fatti mai accaduti in versioni che noi gli abbiamo inculcato. Come durante la caccia alle streghe, l’essere umano è sempre stato incline a creare delle gogne in pubblica piazza per sfamare quel certo appetito di giudizio implacabile, di accrescere la propria reputazione ricoprendo di imbarazzo il capro espiatorio di turno. E Vinterberg questo preciso aspetto della psiche umana è riuscito a mostrarcelo alla perfezione.
Non è il caso invece del regista Teddy Lussi-Modeste che col suo terzo lungometraggio “Silenzio!”, presentato in anteprima il 18 gennaio 2024 al Ramdam Festival, di Tournai, e uscito nelle sale cinematografiche italiane lo scorso 27 febbraio, ha affrontato le medesime tematiche in maniera meno incisiva. Lussi-Modeste, in questo dramma ha deciso di raccontare una storia accaduta a lui in prima persona: qualche anno fa, lavorando come insegnante di francese, una sua alunna lo accusò di averla molestata. Col passare del tempo e dopo un’approfondita indagine, venne fuori che le dichiarazioni erano del tutto inventante.
La sceneggiatura è stata scritta a quattro mani dal regista insieme alla sceneggiatrice Audrey Diwan, ma, colpa anche di una regia che ho trovato di poco spessore, non risulta molto incisiva. Finanche la recitazione, pur non essendo scadente, è di un livello mediocre. La narrazione rimane quasi sempre tiepida, superficiale.
Quello che invece ho apprezzato, essendo un interessante spunto di riflessione, è la scelta del personaggio principale di non usare la sua omosessualità come mezzo per scagionarsi. Julien, interpretato dall’attore François Civil, nasconde il suo essere gay non perché se ne vergogna, ma perché non ha niente a che vedere col fatto che non è un molestatore. Per lui quell’accusa è insopportabile e vuole essere creduto in quanto innocente e incapace di molestare chiunque, soprattutto un minore, per l’alto valore della sua morale, non perché non in grado di provare attrazione nei confronti di una persona di sesso femminile. Per il resto senza infamia e senza lode. Secondo me non è un film che rimane impresso a lungo, a differenza de “Il Sospetto” che, invece, consiglio, ma solo a chi ha fegato a sufficienza per poterlo guadare. Per “Silenzio!” tre stelle su cinque.