Un addio che pesa e che suona come un campanello d'allarme alle orecchie dei dirigenti dem di primo piano. Annamaria Furlan, senatrice Pd con un passato da leader sindacale nella Cisl, lascia il gruppo e il partito per migrare verso Italia Viva. I renziani, spiega Furlan nella lettera in cui annuncia l'addio, garantiscono una maggiore comunione di vedute sui temi che sono politicamente "caratterizzanti", primo fra tutti il lavoro. E' stata Furlan una delle protagoniste del braccio di ferro interno al Pd sulla proposta di legge per la partecipazione dei lavoratori alla governance delle imprese. I dem, in commissione, hanno chiesto e ottenuto di adottare il testo di iniziativa popolare proposto dalla Cisl come testo base. Poi, di fronte alle modifiche apportate dalla maggioranza che, a dire dei deputati dem, hanno "snaturato il testo" fino a renderlo "irriconoscibile e pericoloso per i diritti dei lavoratori", hanno votato contro il mandato al relatore (ovvero contro l'approdo del testo stesso in Aula) e, al momento del voto, si sono astenuti. Questa la "ferita" che per Furlan non e' possibile rimarginare.
Ma non solo. La senatrice e' critica anche rispetto all'idea di una proposta di legge sul salario minimo, bandiera del Pd a trazione Schlein, in quanto ritiene che questo strumento metta a rischio la contrattazione. Una posizione difficilmente conciliabile con quella del partito e della segretaria Elly Schlein che punta sul salario minimo anche per portare avanti il lavoro di cucitura con le altre opposizioni, a cominciare da Cinque Stelle e Avs. Ma il peso politico dell'addio di Annamaria Furlan al Partito Democratico e' restituito soprattutto dalla serie di commenti di esponenti dem che l'hanno accompagnato. Tutti esponenti della compagine riformista del partito.