Steven Spielberg ha fatto tanti film. Alcuni, tra storia, avventura e fantascienza, sono diventati vere e proprie leggende (Lo squalo, ET l'extra-terrestre, Jurassic Park, Schindler's List, solo per citarne pochissimi), ma è con The Fabelmans, il film del 2022, che ha deciso di consacrarsi, puntando direttamente al cuore (e alle nostre lacrime) e raccontando parte di sé.
In modo semi-autobiografico, infatti, questo lavoro candidato a 7 Premi Oscar e vincitore di due Golden Globe ci racconta l'infanzia e l'adolescenza del regista.
Quindi, se ci si chiede se The Fabelmans è una storia vera, la risposta è in gran parte sì, anche se viene rappresentata con altri nomi, altri espedienti e un filtro cinematografico che romanza molto la realtà.
Rivediamo qui di seguito il trailer del film:
Possiamo considerare The Fabelmans un film con qualche filtro vintage e nostalgico in più, quello capace di attirare l'occhio, di stringere il cuore. L'infanzia di Spielberg c'è e arriva sul grande schermo con la storia del protagonista, Sammy Fabelman, un ragazzo dalla famiglia "particolarmente complicata", con una viscerale passione per il cinema.
Questa voglia di fare, osservare e vivere il cinema il più possibile si riflette nel suo bisogno di dare ordine al caos della sua vita: la macchina da presa diventa lo strumento per rimettere la realtà al suo posto.
E perché Spielberg ha deciso di fare proprio questo film? Il suo intento evidente era quello di chiudere un cerchio. Quando si è un regista tanto affermato, a un certo punto c'è sempre un film più intimo, più legato alle origini, un passato con cui, tante volte, è meglio fare pace e, altrettanto spesso, si prova a farlo attraverso la produzione artistica.
Spesso The Fabelmans è stato definito un gesto terapeutico, un lavoro di autoanalisi, uno sfogo, che ha dato al regista la possibilità di fare i conti con i genitori, con il rapporto con loro.
Steven Spielberg
Chi pensa che ci siano scene troppo strane per essere vere, si sbaglia. Il film ci insegna proprio che la vita è fatta di conflitti, dolori, ma anche di "cose assurde."
Sì, il regista, proprio come nel film, ha davvero visto da piccolo Il più grande spettacolo del mondo per poi rimanerne così tanto colpito da tentare di ricreare la scena dell'incidente ferroviario utilizzando il suo trenino.
E la madre gli suggerì di filmare tutto per combattere la paura.
Altro elemento curioso? Il papà maniaco del lavoro. Anche per il regista è andata così. Suo padre Arnold era un ingegnere elettronico che si è impegnato nell'era dello sviluppo dei primi computer. Troppo concentrato, schivo e preso dalle mansioni, anche lui era emotivamente distante dal figlio, proprio come Burt nel film.
Non è poi così diversa la madre, né il suo lavoro. La vera mamma del regista, Leah, era una pianista e un giorno ha veramente deciso di portare in casa una scimmia e di renderla animale domestico. Per quanto questo dettaglio sembri molto particolare e cinematografico, il fatto che rispecchi la realtà è indice di quanto ci sia di vero nell'intera pellicola.
Bullismo e razzismo, purtroppo, sono due dei lati più amari della medaglia e della vita di Spielberg nell'effettivo. Anche il regista, infatti, era stereotipato come il nerd ebreo in un contesto per niente accogliente e ne è stato vittima.
A soli 13 anni girò un film di guerra amatoriale della durata di 40 minuti, proprio come succede a Sammy in The Fabelmans. Si intitola Escape to Nowhere.
Un film di Spielberg che non è cronaca cruda, anzi. Il regista romanza, aggiunge pathos, inserisce dettagli che attirano l'occhio e coinvolgono lo spettatore. Lui stesso, ha ammesso di essersi sentito come alle prese con un remake, riporta historyvshollywood:
Insomma, se si hanno i mezzi per giocare a modificare il passato, perché non sfruttarli al meglio?
La fidanzata ultra-cattolica, che nel film si chiama Monica Sherwood, pare sia esistita veramente, ma Spielberg non ci dà altri dettagli su questa figura che cerca di portarlo verso il cristianesimo prima di baciarlo.
Spielberg ai Golden Globe 2023 con i premi per il miglior regista di un film e il miglior film drammatico
Anche lo zio Boris è una figura romanzata. Spielberg ha ammesso di averlo sì, ispirato a un vero parente che lavorava nel circo, ma che l'idea era quella di renderlo più carismatico di ciò che era.
Quindi il personaggio interpretato da Judd Hirsch in realtà è più "caricato" dell'originale. Il vero zio Boris, inoltre (il nome è autentico) aveva un modo di parlare che per tutti risultava indecifrabile.
E che dire dell’incontro con John Ford? Tutto vero. Spielberg, a 15 anni, è riuscito veramente a vedere John Ford e parlarci in pochi minuti. Il dialogo si sarebbe svolto così come lo vediamo nel film. Ma diciamocela tutta: il fatto che sia interpretato da David Lynch ha voluto mettere in risalto l'epicità dell'aneddoto per evidenziare il senso di stupore vissuto dal giovane regista.