I temi sul tavolo della direzione del Pd erano da trattare con grande cautela, perché su guerra e Jobs act le posizioni nel partito sono da sempre articolate, per usare un eufemismo. Lo dimostra il fatto che buona parte di Energia popolare, la minoranza del partito, non ha partecipato al voto sulla relazione della segretaria, approvata senza voti contrari e senza astensioni. Elly Schlein, d'altra parte, non ha dubbi che il 'nuovo Pd' debba avere una posizione chiara per riconnettersi col proprio elettorato. Ma la segretaria sa anche che un partito plurale e unito è più forte, come ha ricordato concludendo la sua relazione, e ha proposto una linea che riducesse al minimo il rischio di tornare a quelle "vecchie abitudini" che ha deprecato nel suo appello conclusivo. "Questo momento storico ci richiede una grande responsabilità", ha spiegato alla fine del suo intervento. Ricordando, appunto, che "l'anno scorso un partito plurale e unito come mai ha ricominciato a vincere" e che, dunque, sarebbe bene evitare di "tornare a vecchie abitudini e ricominciare con dinamiche autoreferenziali".
Il richiamo non era fuori luogo, perché Schlein sapeva bene che schierare il Pd per il sì al referendum sul Jobs act avrebbe creato mal di pancia, così come la posizione prudente sul riarmo Ue di cui si parla in questi giorni nelle cancellerie europee. La riunione è stata preparata con cura, il sì al referendum Schlein lo ha accompagnato con una rassicurazione ai 'dissidenti': "Il Pd supporterà i referendum e invita tutte e tutti ad andare a votare", ha spiegato. Ma poi ha aggiunto: "So bene che nel partito c'è anche chi non li ha firmati tutti e non chiediamo abiure a nessuno". E infatti non sono mancati momenti di tensione nel susseguirsi degli interventi e più di un esponente della minoranza spiega che proprio grazie alle parole usate dalla segretaria - molto calibrate - alla fine ci si è limitati a qualche battibecco su un tema che poteva essere esplosivo.