E vabbè: oltre a contare le volte in cui l'opposizione ha gridato "vergogna!" nei confronti della maggioranza, bisognerebbe tenere la contabilità anche di tutte le volte in cui le minoranze parlamentari hanno invocato le dimissioni di questo o quel ministro.
Capita, a volte, come oggi con il ministro della Giustizia Carlo Nordio e la ministra del Turismo Daniela Santanchè, che riescano pure a giungere al momento della verità: quello della sfiducia da votare in Parlamento. Ma, a ben vedere, è lì che poi casca inesorabilmente l'asino. Nel senso: chiacchiere e propaganda a parte, su 83 precedenti, solo una volta un ministro ci ha rimesso davvero le penne. Correva il 1995 e quel ministro rispondeva al nome di Filippo Mancuso.
Nordio e Santanché, quindi, possono dormire sonni tranquilli: non smetteranno di fare i ministri per via di una mozione di sfiducia avanzata dall'opposizione. Anche perché, in fondo in fondo, la verità l'ha detta il loro collega di governo Tommaso Foti: "Prima o poi avremo tutti una mozione di sfiducia". Al che è seguita un'alzata di spalle.
E quindi: Nordio e Santanché avranno gioco facile in Parlamento. La maggioranza, che così si chiama perché ha a disposizione molto più del 50% dei voti sia alla Camera che al Senato, non farà mancare il suo supporto. E il caso Almasri come quello Visibilia saranno solamente i vessilli di giornata dell'opposizione.
Storicamente, la mozione di sfiducia si è rivelata più che altro come un modo da parte della minoranza di conquistare visibilità più che una crepa interna agli assetti di governo.
Ciò che avvenne per Mancuso è roba più unica che rara. La classica eccezione che conferma la regola. In quell'occasione, maggioranza e opposizione si trovarono sullo stesso fronte perché il Guardasigilli dell'allora governo Dini decise di sparare contro i magistrati di Mani Pulite e l'allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Fatto, all'epoca, giudicato fuori dalla grazia di Dio.
Tra gli oltre 80 ministri che, invece, in un modo o nell'altro, se la cavarono, c'è anche il nome di Giulio Andreotti. Nel 1984, fu proprio lui il primo a superare indenne il voto di sfiducia ad personam nei riguardi di un ministro. All'epoca, il Divo era titolare degli Esteri del governo Craxi e fu messo sotto torchio per il caso Sindona. Ma se la cavò con un suo proverbiale:
E comunque: la mozione di sfiducia, nel nostro sistema politico-istituzionale, non rappresenta altro che una partita politica. L'opposizione la mette in campo per fare quadrato. La maggioranza la respinge magari regolando qualche conto al suo interno.
Quando Ennio Flaiano spiegava che in Italia la linea più breve per unire due punti è l'arabesco, forse pensava proprio a questa vecchia pratica parlamentare. Ancora in vita, tra l'altro, perché ad oggi il premier non ha il potere di sostituire i ministri.
E non a caso proprio questa è una delle singolarità del nostro sistema che vari tentativi di riforme costituzionali, ultima quella del premierato, avrebbero voluto superare. Ad oggi, invece, la norma che rimane a sovrintendere alla fattispecie è l'articolo 94 della Costituzione che parla di mozione di sfiducia per l'intero Governo, non ad personam per un ministro:
La sfiducia per un singolo membro del governo è una desunzione di questo e dell'articolo successivo della Costituzione, il quale specifica che
E quindi: via alla giostra delle mozioni. Non certo delle emozioni. Che, come spiega Laura Boldrini del Pd all'inviato di Tag24.it Lorenzo Brancati, in fondo si fanno tanto per farle. Per un divertimento tutto italiano.
@lauraboldrini sulle sfiducie ai ministri Nordio e @DSantanche pic.twitter.com/hTZgHwn1UD
— Tag24 (@Tag24news) February 25, 2025