Sta facendo discutere il caso di Rosa Vespa, la donna che qualche giorno fa ha rapito una neonata da una clinica di Cosenza, fingendo di aver partorito dopo una gravidanza simulata. Un caso che, per molti versi, resta ancora avvolto nel mistero.
Secondo quanto ricostruito finora, la 51enne avrebbe tenuto all’oscuro del suo piano anche il marito, inizialmente accusato di essere suo complice. La sua avvocata, Teresa Gallucci, ha chiesto che venga sottoposta a una perizia psichiatrica, dichiarando ai giornalisti: “Non è una criminale”.
Ne abbiamo parlato con la psicoterapeuta Alexia Di Filippo, riflettendo su come la ricerca di un figlio possa, in alcuni casi, trasformarsi in una vera e propria ossessione.
“La vicenda ci insegna che ci sono donne il cui desiderio di avere un figlio può trasformarsi in un’ossessione e sfociare in un progetto delirante, sostenuto dall’infantile attesa che bastino la rappresentazione di una falsa gravidanza sui social e il sequestro di un neonato altrui per diventare madri.
Cosa abbia determinato l’agire di Rosa Vespa e quali siano i precisi contorni della vicenda potrà essere ricostruito con maggiore chiarezza a seguito della perizia psichiatrica richiesta dalla difesa.
Quella di Cosenza potrebbe essere la storia di una donna con tratti di personalità disfunzionali o un franco disturbo di personalità che desidera smodatamente ricevere attenzione e riconoscimento attraverso un figlio e si determina ad escogitare un piano costellato di menzogne e depistaggi che culmina nel gesto scellerato del rapimento di una neonata, vissuto come senso di diritto e di rivalsa su un’altra madre cui sottrae la figlia”.
“Quando dalla nascita di un figlio dipende la propria identità, come se la donna trovasse ragione di esistere e/o compimento solo col ricoprire il ruolo di madre. È chiaro che, sotto tale lente interpretativa, l’impossibilità di avere un bambino può essere vissuta come una mutilazione intollerabile e con un catastrofico senso di perdita di sé e di significato dell’esistenza.
Si tratta di un pensiero vincolante, che dipende prevalentemente dagli stereotipi di genere, cui aderisce quasi il 50% della popolazione adulta italiana (ISTAT, 2023), che valida e confina la donna nel ruolo di nutrice, moglie e madre. Essa deve dunque primariamente procreare per adempiere a quanto ci si aspetta da lei e dalla coppia tradizionale che, a seguito della nascita di un figlio, diventa famiglia.
Il bambino viene così reificato, diventando oggetto del desiderio, mezzo identitario ed apportatore di status. Ecco perché non ci deve stupire il fatto che, in determinati contesti, con certe condizioni psicologiche sfavorevoli, possano accadere fatti come quello di Cosenza”.
“A meno che la coppia con problemi di concepimento non venga inserita in percorsi di sostegno psicologico nella procreazione medicalmente assistita, o che uno dei due richieda un aiuto psicoterapeutico, è molto difficile accorgersi dall’esterno di un disagio come quello derivante dal non riuscire ad avere figli.
I coniugi tipicamente e la donna particolarmente, non solo tendono a non parlarne con le persone intorno a causa di vissuti di inadeguatezza e vergogna, ma si trovano a dover schivare attivamente domande pressanti ed indiscrete nonché consigli non richiesti e razionalizzazioni pietistiche, chiudendosi al dialogo.
Quando li si desidera, non riuscire ad avere figli costituisce un dolore e un lutto individuale e di coppia che dovrebbe essere affrontato con la psicoterapia. È un percorso importante, che consente di elaborare e superare il senso di perdita, delusione e frustrazione, per quel progetto di famiglia e di genitorialità che non si è realizzato.
La donna, in particolare, può beneficiare dell’intervento terapeutico, tornando o cominciando a ripensarsi al di là del ruolo di madre, ma anche per il partner è importante riconsiderarsi al di là dell’identità genitoriale e dello stereotipo della mascolinità legata alla capacità riproduttiva. L’obiettivo terapeutico, una volta elaborato il lutto, è ritrovare un buon equilibrio personale e di coppia riformulando un nuovo progetto di vita.”