Ci sono storie che ci sconvolgono e che facciamo fatica a dimenticare. Storie che, per loro natura, scuotono la nostra coscienza e ci costringono a riflettere, come quella di Junko Furuta, la ragazza di appena 17 anni che nel 1989 fu uccisa dopo 44 giorni di indicibili torture in Giappone. Una storia complicata, che fa emergere i lati più oscuri dell'umanità. Per ricostruirla, dobbiamo fare un passo indietro.
Junko Furuta nacque il 18 gennaio 1971 a Misato, nella prefettura di Saitama. Trascorse un'infanzia serena, circondata dall'affetto dei genitori e dei due fratelli. Da adolescente, frequentò il liceo Yashio-Minami, dove si distinse come una studentessa modello, una ragazza operosa e determinata.
Nell'ottobre 1988, dopo le lezioni, iniziò a lavorare part-time in una fabbrica di stoccaggio della plastica. Il suo obiettivo era raccogliere i soldi necessari per iscriversi all'università. Non poteva sapere che, di lì a poco, la sua vita sarebbe stata spezzata in modo atroce.
Tutto ebbe inizio la sera del 25 novembre 1988. Furuta aveva solo 17 anni quando, all'uscita dal lavoro, fu aggredita da un ragazzo (che poi si diede alla fuga) mentre si dirigeva verso casa in bici. Poco dopo, passò in strada Hiroshi Miyano, un giovane di qualche anno più grande che si era invaghito di lei e che lei aveva rifiutato.
La ragazza, spaventata da quanto appena accaduto, accettò di farsi riaccompagnare da lui, che però la condusse in un magazzino poco distante e la violentò. Fece lo stesso in un hotel e poi in un parco, raccontando tutto ai suoi amici Jo Ogura, Shinji Minato e Yasushi Watanabe, che a loro volta abusarono di lei. Si scoprì solo in seguito che era stato uno di loro a spaventare la giovane e che l'aggressione era stata tutta una messinscena.
Furuta, quella sera stessa, fu portata a casa di Minato e costretta a telefonare ai genitori per dire loro di essere fuggita e chiedere di non cercarla. Da quel momento, per ben 44 giorni, sarebbe stata sottoposta a torture inaudite. Il 5 gennaio 1989, dopo una delle tante violenze subite, morì. Il suo corpo fu avvolto in delle coperte, immerso in un barile di cemento e abbandonato alla periferia di Tokyo.
Hiroshi Miyano i suoi amici, tutti con piccoli precedenti, avrebbero potuto farla franca. Nessuno, infatti, stava cercando Junko, e nessuno sospettava che fosse morta. Tuttavia, il 13 gennaio, accadde qualcosa di inatteso. Miyano e Ogura furono arrestati dalla polizia per uno stupro commesso qualche mese prima e, durante l'interrogatorio, crollarono, confessando tutto.
La notizia sconvolse la comunità e, soprattutto, la famiglia di Junko, che in breve si ritrovò a dover fare i conti con i macabri dettagli di ciò che la 17enne aveva vissuto. Emerse durante il processo che Furuta era stata picchiata, stuprata per centinaia di volte, anche da altri uomini.
I suoi aguzzini l'avevano costretta a comportamenti degradanti, privandola della dignità in ogni modo possibile. Le cospargevano il corpo con liquidi infiammabili, le davano fuoco. E tanto altro ancora. Alla fine, Furuta aveva subito danni irreversibili a molti organi, arrivando ad accusare forti crisi epilettiche per lo shock.
Miyano e gli altri accusati patteggiarono, dichiarandosi colpevoli per le ferite che avevano provocato la morte di Junko (non per il suo omicidio). Ottennero pene di varia entità. Quella più alta, di 20 anni, fu per Miyano, l'unico all'epoca maggiorenne. Oggi è un uomo libero e ha cambiato nome. I familiari di Junko, invece, dovranno per sempre vivere con il ricordo della sofferenza insostenibile provata dalla ragazzi in quelli che in molti hanno rinominato "44 giorni di inferno".
Una storia sconvolgente, come quella di Rosaria Lopez e Donatella Colasanti.