Negli ultimi mesi, la questione dei buoni pasto per gli insegnanti e per il personale ATA è tornata al centro del dibattito, suscitando un crescente malcontento per la disparità di trattamento rispetto ad altre categorie del pubblico impiego.
I dipendenti scolastici, sia il corpo docente che il personale ATA, sono gli unici a non ricevere i buoni pasto, a differenza di tutti gli altri lavoratori del settore pubblico.
Una situazione quasi paradossale che lascia i lavoratori della scuola con l’amaro in bocca e che è stata più volte denunciata dai sindacati.
La legislazione italiana prevede che ogni lavoratore subordinato, a prescindere dal tipo di contratto (full time o part time), abbia diritto ai buoni pasto. Eppure, i dipendenti delle scuole sono tagliati fuori. Perché?
Gli insegnanti e il personale ATA sono le uniche categorie di lavoratori tagliati fuori dai buoni pasto. Nonostante la legge prevede che tutti i lavoratori subordinati abbiano diritto all’accesso a questo welfare, i lavoratori del comparto scuola continuano a non beneficiarne.
In modo particolare, insegnanti e ATA sono esclusi perché fanno parte di quella categoria “a turno unico”, ovvero lavoratori il cui orario di lavoro copre solo una parte della giornata lavorativa.
In realtà, è già da un po’ di anni che non è propriamente così, come sottolineano i sindacati del comparto scuola.
La richiesta dei sindacati è chiara: il Governo deve intervenire al più presto per estendere il diritto ai buoni pasto anche al personale scolastico.
Si deve considerare un aspetto che è stato trascurato per molto tempo e che ancora oggi lo è. I docenti sono spesso chiamati a partecipare a riunioni, consigli di classe, colloqui con i genitori e altre attività che si svolgono nel pomeriggio o, spesso e volentieri, anche in orari serali.
Si tratta di impegni, anche se sporadici, che allungano la loro giornata lavorativa, ma non sufficienti a giustificare il riconoscimento del buono pasto.
Secondo la legge attualmente in vigore, i buoni pasto, regolamentati dal DM 122/2017, spettano a tutti i lavoratori dipendenti, del settore pubblico e privato, sia part time che full time.
Nonostante ciò, la scuola è l’unico comparto del pubblico impiego dove non è previsto il diritto ai buoni pasto: non solo per gli insegnanti, ma neppure per il personale ATA.
Il Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (CCNL) per i dipendenti della Pubblica Amministrazione, firmato nel novembre 2022, stabilisce una pausa pranzo di 30 minuti per chi lavora più di sei ore. Inoltre, prevede la possibilità di sostituire il buono pasto con il servizio mensa, ma solo previo accordo con i sindacati.
In considerazione di queste disposizioni, i sindacati della scuola hanno sollevato la questione, chiedendo un adeguamento per il personale scolastico, affinché possieda le stesse condizioni previste per gli altri settori del pubblico impiego.
Se la disparità è evidente rispetto agli altri dipendenti pubblici, bisogna capire qual è il perché. Il mancato riconoscimento dei buoni pasto per il personale scolastico risiederebbe nell’orario di lavoro.
Le differenze di orario tra gli insegnanti e gli altri lavoratori del pubblico impiego sono evidenti. Gli altri lavoratori statali possono essere chiamati a svolgere turni continuativi o spezzati con pause pranzo più lunghe, cosa che, invece, non capita per gli insegnanti.
L’orario scolastico dei docenti è concentrato principalmente nelle ore mattutine, con lezioni che, nella maggior parte dei casi, terminano entro il primo pomeriggio. Inoltre, non sono previsti regolarmente turni pomeridiani. È proprio questa la motivazione per la quale per questo non vengono riconosciuti i buoni pasto.
Infine, dobbiamo una riflessione di tipo economico. Il riconoscimento dei buoni pasto richiede risorse aggiuntive.
La questione dei buoni pasto per insegnanti e personale ATA ha suscitato nuovamente malcontento, poiché questi lavoratori sono esclusi da tale beneficio, a differenza di altri dipendenti pubblici.
Nonostante la legge preveda i buoni pasto per tutti i lavoratori subordinati, la scuola è l'unico comparto del pubblico impiego a non offrirli.
I sindacati chiedono al governo di estendere questo diritto anche al personale scolastico, considerando che gli insegnanti sono spesso impegnati in attività extra come riunioni e colloqui, che allungano la loro giornata lavorativa.