Piaccia o no, i partiti hanno ancora 48 ore di tempo prima di una scadenza che ha assunto tutti i connotati dell'aut-aut: trovare i quattro giudici della Cassazione che ancora mancano, procedere alla loro indicazione e completare i ranghi del massimo organo dei giudici in Italia.
Un'urgenza che, probabilmente, non nasce dalle reiterate richieste del presidente della Repubblica Sergio Mattarella o dell'ex presidente della Consulta Augusto Barbera, ma dalle possibili ricadute che un organo di garanzia costituzionale zoppo potrebbe avere sulla tenuta dello stesso governo: il presidente facente funzioni Giovanni Amoroso ha rinviato al 20 gennaio 2025 la riunione per decidere sull'ammissibilità o meno del referendum contro l'autonomia differenziata.
In politici invece hanno tempo fino al 14 gennaio per decidere e ormai si è fatta strada l'idea di una spartizione fra maggioranza e opposizione delle caselle mancanti. Si fa anche il nome della ministra Maria Elisabetta Casellati, cosa che costringerebbe la premier Giorgia Meloni a modifiche importanti nella compagine governativa.
Il 14 gennaio 2025 il Parlamento si riunirà in seduta comune per cercare l'ultimo accordo possibile per indicare i quattro giudici costituzionali che prenderanno il posto dei colleghi andati in pensione. Non è possibile indugiare ulteriormente: l'auspicio proprio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, cioè di un'indicazione senza ritardi da parte delle forze politiche, è caduto nel vuoto arrivando a metà di gennaio.
L'urgenza è ulteriormente sottolineata dal comunicato che Giovanni Amoroso, presidente facente funzioni della Cassazione, ha fatto pubblicare oggi 12 gennaio: non è tanto nei toni o nelle parole, ma nel contesto nel quale è inserito. Spostando la riunione comune per discutere del referendum dell'autonomia differenziata dal 13 al 20 gennaio, si frutta la finestra temporale prevista dalla legge, arrivando però a quel limite temporale che non può essere superato.
Maggioranza e opposizione sono quindi chiamate a quel salto di qualità che permetta loro di piantare anche qualche bandierina da vendere ai rispettivi elettorati. In tanti parlano di "spartizione": nelle 48 ore che precedono la seduta di martedì, i partiti avrebbero deciso che due giudici sarebbero in quota maggioranza, uno per l'opposizione e l'ultimo verrebbe considerato come "tecnico".
Tutto questo con buona pace di Augusto Barbera, ex presidente della Cassazione andato recentemente in pensione: agli inizi di dicembre aveva chiesto al Parlamento di non limitarsi al colore politico dei futuri giudici, ma di pensare al bene comune del paese. Tutti i giudici costituzionali dovranno collaborare "dimenticando" la loro provenienza.
Il numero da raggiungere è quello di 15 giudici: oltre ai 5 scelti dal Quirinale e ai 5 indicati dalle alte corti della magistratura, ci sono i 5 "politici". Si parla di quattro sostituzioni perché Silvana Sciarra, Augusto Barbera, Franco Modugno e Giulio Prosperetti sono andati in pensione. Si è arrivati così al numero minimo per il funzionamento della Cassazione, cioè 11 giudici.
Il rinvio della seduta per discutere del referendum sull'autonomia differenziata è stato quindi un campanello d'allarme che i partiti hanno ben compreso. Né maggioranza né opposizione possono aspettare oltre per capire come comportarsi nel caso di ammissibilità o meno del referendum, uno dei temi che possono incidere molto sull'andamento del governo.
Martedì 14 serviranno almeno 363 parlamentari, contando anche i senatori a vita, arrivando a una maggioranza di 3/5. La spartizione prima accennata ha però anche un'incidenza sui nomi che i singoli partiti esprimeranno: devono essere limati alcuni dettagli ma sia il centrodestra che il centrosinistra hanno la loro rosa di candidati da indicare al momento opportuno.
Per il centrodestra si fanno i nomi di Francesco Saverio Marini e di Pierantonio Zanettin: il primo è consigliere giuridico della premier e una delle menti dietro la riforma del premierato, mentre il secondo è capogruppo di FI in Commissione Giustizia del Senato. Il centrosinistra va a trazione Partito Democratico, che si intesterà la scelta del giudice riservato all'opposizione.
Qui il nome che circola da mesi è quello di Andrea Pertici, considerato da alcuni però troppo vicini alla segretaria dem Elly Schlein (accusa simile è stata mossa anche a Marini, ma con la premier Meloni). Alcuni nel PD preferirebbero quindi che Schlein scegliesse il professore Massimo Luciani, che segue il ricorso della regione Campania contro la legge Calderoli.
Un problema per i partiti è rispettare anche l'alternanza di genere: i partiti concordano di scegliere un profilo femminile, e fra le papabili ci sono l'avvocato generale dello Stato Gabriella Palmieri Sandulli e quello di Valeria Mastroiacovo, tributarista.
Nessuno invece, all'interno del governo, ritiene praticabile scegliere il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto o la ministra per le Riforme istituzionali Elisabetta Casellati: ciò porterebbe a un rimpasto che Meloni non ha intenzione di affrontare.