La prima prova della verità è fissata domani alla Camera. In calendario, infatti, c’è l’inizio delle votazioni per la riforma della giustizia che, secondo i desiderata del centrodestra, dovrà finalmente giungere alla separazione delle carriere dei magistrati. I togati, se passa la riforma Nordio, potranno essere inquirenti o giudicanti. E il centrodestra potrà mettere una bandierina su un risultato storico: è dai tempi della discesa di Silvio Berlusconi in politica, anno di grazia 1994, che tenta di agguantarlo.

Il voto sulla separazione delle carriere

A suonare la carica, tra le fila di Forza Italia, oggi, è stato Enrico Costa. Il parlamentare ex Azione sul suo profilo X ha scritto:

“Domani alla Camera inizieranno le votazioni sulla separazione delle carriere dei magistrati, per ristabilire un giusto processo in cui il pm non prevarichi il giudice e l’esito delle indagini non sia la vera sentenza”

Un annuncio che è tutto un programma, insomma.

Costa non è certo nuovo a questa posizione. Fin da quando, nel 2014, fu nominato da Matteo Renzi viceministro della Giustizia accanto al titolare di quel ministero che era il dem Andrea Orlando, ha sempre portato avanti con convinzione le sue idee.

Da qualche mese, dopo essere stato vicesegretario di Azione, è tornato in pianta stabile nel centrodestra. E proprio la sua parabola politica, a cavallo tra i due poli, suggerisce che la separazione delle carriere potrebbe ottenere consenso anche al di fuori della maggioranza.

Giorgia Meloni, naturalmente, se lo augura: con l’Autonomia differenziata azzoppata dalla Corte Costituzionale e il premierato accantonato, la riforma della giustizia è il pilastro su cui politicamente la premier deve costruire tutta la fase due del suo governo.

Cosa significa separare le carriere dei magistrati

Ma cosa significa concretamente separare le carriere dei magistrati? Finora, in Italia il sistema ha funzionato così: i pm, i Pubblici ministeri che svolgono le indagini, e i magistrati giudicanti, i giudici di Tribunale e delle Corti d’Appello, sono selezionati da un unico concorso. È l’articolo 107 della Costituzione che li blinda:

“I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso”

Poi, la Carta, allo stesso articolo, ricorda che “il ministro della Giustizia ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare”. E continua specificando:

“I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni”

Chi chiede la separazione delle carriere dei magistrati vorrebbe, invece, imporre loro, all’inizio dell’attività, una scelta netta tra una funzione e l’altra.

Ora: chi l’avversa ha sempre ricordato che quest’idea era presente nel disegno sovversivo del piano di Rinascita del maestro venerabile della loggia P2 Licio Gelli. E insomma: come ricorda il video di Booktrailer, se ne sono dette di tutti i colori

Sta di fatto che, nel corso del tempo, prima la riforma Castelli del 2006 poi quella Cartabia del 2022 hanno ridotto la possibilità del passaggio a una sola volta in carriera, nei primi dieci anni. Inoltre, tale scelta è disincentivata in quanto comporta il cambio di distretto e Regione e poiché l’ufficio competente non può occuparsi di indagini su magistrati del proprio distretto di provenienza.

Le ragioni del sì e del no

In ogni caso, chi chiede carriere separate sostiene che così come sono le cose, il pm è portato, nell’indagare, solo a cercare elementi di colpevolezza, non di innocenza, a carico di chi mette sotto indagine. Questo sebbene sia obbligato a cercare le prove che possano fare l’una o l’altra cosa, tant’è che se emerge che l’indagato è innocente, regola vuole che deve chiedere l’archiviazione in udienza preliminare. Ma anche al termine del dibattimento, sulla carta, il pm deve chiedere l’assoluzione dell’imputato se ritiene che le prove emerse davanti al giudice non confermino le ipotesi iniziali.

Ma, nella realtà, quante volte accade questo? Quanti pm hanno la professionalità oltre che l’onestà intellettuale di fare un passo indietro?

Spesso, anzi, si assiste al contrario: a pm che vanno avanti nelle loro accuse anche senza avere elementi in mano. Magari, secondo chi sostiene la riforma, perché appartenere alla stessa carriera porta il giudice in ogni caso a essere più favorevole al pm che all’avvocato difensore.

I teoremi con i quali partono i processi, in ogni caso, si smantellano per il 50% delle volte già in sede di primo grado. E, davanti a questa statistica, chi difende l’attuale status dei magistrati sostiene, piuttosto, che dovrebbe funzionare meglio il filtro del giudice delle udienze preliminari. Ma qui si apre un altro vaso di Pandora perché, a quel punto, si dovrebbero separare le carriere anche dei giudici di primo e di secondo grado oltre che di Cassazione.

Chi vuole tenere unite le carriere, poi, vuole mantenere una certa unità culturale di fondo tra gli inquirenti e i giudicanti: vuole preservare il fatto che il pm possa pensare già come un giudice. Ed evitare che da un lato si formino super poliziotti, dall’altro super toghe chiamate solo a scrivere e pronunciare sentenze.

Il nodo politico

Sta di fatto che il tema della separazione delle carriere, che da trent’anni divide la politica, è difficile da valutare nelle sue possibili conseguenze.

Il nodo politico è però chiaro: chi si oppone alla riforma sottolinea il rischio di un progressivo assoggettamento dell’ufficio del Pm all’esecutivo, con la conseguenza che sarebbero i Governi a decidere, in base al proprio orientamento politico, quali cassetti il pm possa aprire.

Il ministro Carlo Nordio, che vuole portare la riforma a casa entro giugno, ha già giurato che non si intaccherà l’indipendenza delle toghe: tutti i cittadini italiani continueranno a essere uguali davanti alla legge. Ma su questo inizierà un nuovo braccio di ferro domani.