Il 7 gennaio 1987, Lidia Macchi fu trovata senza vita in una zona boschiva vicino alla ferrovia di Cittiglio, a due passi da Varese, dove viveva facendo la spola con Milano. Dall’autopsia emerse che era stata accoltellata 29 volte dopo un rapporto sessuale. A distanza di trentotto anni, il suo assassino non ha ancora un volto né un nome: il caso è rimasto irrisolto.
Chi era Lidia Macchi
Quando scomparve, il 5 gennaio 1987, Lidia Macchi aveva 21 anni ed era iscritta al secondo anno della facoltà di Giurisprudenza dell’Università del Sacro Cuore di Milano. Era una studentessa diligente, ma si impegnava anche in parrocchia come volontaria e nel sociale, frequentando gli ambienti di Comunione e Liberazione.
Una vecchia puntata di “Blu notte – Misteri italiani” di Carlo Lucarelli sul caso Macchi
La scomparsa e il ritrovamento del corpo
L’ultima a vederla viva fu l’amica Paola: Lidia era andata a trovarla in ospedale, dove si trovava a causa di un incidente stradale, nel pomeriggio, prendendo in prestito l’auto dei genitori, appena tornati dalle vacanze di Natale in montagna. Sentita dagli inquirenti, la ragazza raccontò che, verso le 20:10, la 21enne se ne era andata perché si era accorta di essere in ritardo per la cena.
A casa non sarebbe mai tornata. Le ricerche partirono già la sera stessa, arrivando a una svolta solo la mattina del 7 gennaio, quando il cadavere di Macchi fu trovato in una zona appartata non lontano dall’ospedale di Cittiglio, parzialmente coperto da un cartone.
L’autopsia stabilì che la giovane era stata colpita con un coltello a lama corta 29 volte, in un luogo diverso da quello del ritrovamento, e che, prima di morire, aveva avuto un rapporto sessuale. I sospetti si concentrarono subito sulla pista di un balordo, di un tossicodipendente o di un pazzo, anche grazie ad alcune testimonianze su strani ragazzi visti in zona in quel periodo.
La lettera indirizzata ai familiari
Poi, però, successe qualcosa. Tra gli effetti personali di Lidia fu trovata una lettera di poche righe in cui la giovane accennava a un tormento interiore. Qualche giorno dopo il ritrovamento del suo corpo, ai genitori ne fu indirizzata una seconda.
Si intitolava “In morte di un’amica” e appariva come un vero e proprio delirio pseudo-religioso, con continui riferimenti alla Bibbia. Gli investigatori, a quel punto, indirizzarono le loro attenzioni sugli ambienti frequentati da Lidia, in particolare su un sacerdote, don Antonio Costabile, all’epoca assistente degli scout.
La svolta
Il suo nome fu iscritto nel registro degli indagati e vi rimase fino al 2014, quando sul caso si spensero i riflettori. La vera svolta arrivò due anni più tardi, quando un disoccupato laureato in Filosofia, Stefano Binda, fu arrestato. Anche lui, come Lidia, gravitava nel gruppo varesino di Comunione e Liberazione.
Il processo a carico di Stefano Binda
Binda si proclamò subito innocente. Gli inquirenti, però, erano convinti che avesse abusato della studentessa, uccidendola per “punirla” dell’atto impuro. E che avesse scritto la famosa lettera. Finito a processo, fu inizialmente condannato all’ergastolo dalla Corte di Varese.
Nel 2019, un colpo di scena: in Appello, a Milano, la sentenza fu ribaltata. Binda fu assolto con formula piena da tutte le accuse grazie al test del Dna. Ha trascorso in carcere più di tre anni e lo Stato italiano dovrà risarcirlo per l’ingiusta detenzione.
Una sintesi per punti del cold case di Varese
- La scomparsa e il ritrovamento di Lidia Macchi: il 5 gennaio 1987, Lidia Macchi, una studentessa di Giurisprudenza di 21 anni, scomparve dopo aver visitato un’amica in ospedale. Due giorni dopo, il suo corpo fu ritrovato senza vita in una zona isolata poco distante.
- Indagini e sospetti: le indagini si concentrarono all’inizio sulla pista di un criminale casuale, ma una lettera indirizzata ai genitori di Lidia spinse gli investigatori a esaminare gli ambienti religiosi frequentati dalla ragazza. Il nome di Don Antonio Costabile fu iscritto nel registro degli indagati. Successivamente, emerse un altro sospettato: Stefano Binda, membro del gruppo Comunione e Liberazione.
- Il processo a Stefano Binda: Binda finì a processo con l’accusa di omicidio. Inizialmente condannato all’ergastolo, fu successivamente assolto con formula piena. Da quel momento, il caso Macchi è finito nel dimenticatoio.
In attesa di giustizia
Se fosse ancora viva, oggi Lidia avrebbe quasi 60 anni. I suoi familiari (il papà si è spento nel 2016) sono ancora in attesa di giustizia. L’unica speranza che hanno è che qualcuno che sa qualcosa, dopo tutti questi anni, si faccia vanti e parli.