Il regista norvegese Halfdan Ullmann Tondel, nipote di Ingmar Bergman e Liv Ullmann, ha debuttato al cinema con il film “Armand”. Presentato in anteprima alla 77ª edizione del Festival di Cannes lo scorso 18 maggio, questo lungometaggio profondamente drammatico e disturbante vede protagonista l’attrice Renate Reinsve, che interpreta il ruolo di Elisabeth, una donna vedova madre di un bambino di sei anni, di nome Armand, accusato di aggressione e molestie sessuali nei confronti del cugino Jon.
“Armand”, recensione
Lungo una strada norvegese alberata, a scorrimento veloce, c’è una macchina color blu petrolio che sfreccia velocissima, quasi fosse inseguita da qualcosa di inquietante. Nello specchietto retrovisore si riflettono due grandi occhi ambrati, cerchiati da un velato accenno di occhiaie. Alla guida di quell’automobile c’è Elisabeth (Renate Reinsve), una bella donna, dalla figura longilinea e dall’aspetto magneticamente affascinante. Indossa un impermeabile di vernice borgogna con la naturalezza di chi porta un capo semplice e per nulla vistoso, come se quella tonalità di rosso con un pizzico di porpora fosse invisibile. Ecco, questa è l’indole caratteriale di Elisabeth: estremamente libera, nei gesti e nei pensieri, al punto da non calcolare affatto che nell’occhio di chi la guarda possa esserci il diritto a formulare un giudizio negativo. E del resto, teoricamente, perché dovrebbe. Ma si sa, le belle donne dal temperamento indomabile sono spesso facile preda di pregiudizi e di sguardi indesiderati, ricolmi di livore e d’invidia. In questa mattinata uggiosa si sta recando presso la scuola elementare frequentata da suo figlio Armand, che però ha lasciato da solo a casa. È stata contattata d’urgenza dal corpo docente, chiedendole di presentarsi in istituto per parlare dell’accadimento di un qualcosa scabroso che avrebbe visto coinvolto proprio Armand. Ma Elisabeth sembra essere tranquilla come se non avesse compreso la gravità della situazione e la sua guida spericolata pare essere dovuta più al fatto che è in ritardo che non in ansia. Il suo bambino, di soli sei anni, è accusato di aver picchiato, minacciato e molestato sessualmente il suo migliore amico Jon in uno dei bagni della scuola.
Fatalità vuole però che Jon sia anche il cugino di Armand, figlio della sorella del defunto padre Thomas. Guarda caso le accuse vengono portate avanti con fermezza giustappunto da Sarah (Ellen Dorrit Petersen), la cognata di Elisabeth. Sarah, dopo aver perso il fratello in uno strano incidente stradale, non ha mai fatto mistero del suo risentimento nei confronti della vedova, che in qualche maniera reputa responsabile della morte prematura di Thomas. Così, in una di quelle mattine in cui puoi sentire l’odore della pioggia nell’aria, il grigiore del cielo coperto, come un triste presagio, pare incarnare alla perfezione la tristezza degli eventi che stanno per consumarsi. Elisabeth non è disposta a credere a nessuna delle ignominie rivolte ad Armand, che ha a malapena sei anni; ma avrà davvero ragione?
“Armand”, critica
Se Ingmar Bergman fosse ancora vivo, probabilmente si sentirebbe pervaso da un groviglio di sentimenti misti fatto di orgoglio, felicità ed euforia: suo nipote Halfdan Ullmann Tondel ha debuttato da regista con un film d’esordio, che è una devastante rappresentazione geniale della paranoia. Lo scorso 18 maggio ha presentato alla 77ª edizione del Festival di Cannes, nella sezione Un Certain Regard, “Armand”, vincendo poi il premio Caméra d’Or per il miglior primo lungometraggio. La storia in sé non è poi così originale, a eccezione della giovane età dei bambini protagonisti di un’accusa scabrosa: la partenza ricorda, in qualche maniera, “Carnage” di Polanski e temi simili possiamo trovarli, ad esempio, in “Educazione Fisica” di Stefano Cipani e nello splendido “L’innocenza” di Hirokazu Kore’eda. Ma non è specificatamente nell’evento mostruoso in sé che troviamo il cuore di quest’opera; tanto per cominciare i due minori non verranno mai mostrati, non prendendo parte alla narrazione. Tutto ruota intorno ai genitori, agli insegnati e alle emozioni che li inducono a comportarsi ciascuno a modo proprio. Rabbia, acredine, sgomento, tristezza, paura, invidia, gelosia cieca che porta alla tanto amara competitività femminile. E ancora angoscia, ignavia, vigliaccheria, meschinità, ma anche ammirazione smisurata. Questo però è solo il modo del regista di trascinarci verso quello che per me è il tema centrale: l’evolversi di un episodio paranoico. E mi riferisco strettamente alla definizione psichiatrica. La resa è tale che ne consiglierei la visione ai laureandi in psicologia e psichiatria.
Renate Reinsve, nella parte della madre Elisabeth, è straordinariamente credibile in quella che io ho trovato la sua migliore interpretazione sinora; nel 2024 abbiamo già potuto vederla in “Another End” di Piero Messina e nella serie TV “Presunto Innocente”, adattamento del romanzo di Scott Turow e rifacimento dell’omonimo thriller del 1990. Ma in “Armand” ha dato prova di un talento attoriale capace di addentrarsi con maestria nella complessità dell’alterazione del pensiero razionale. Non è comunque un lungometraggio perfetto, ci sono un paio di scene che ho ritenuto eccessive e a volte il ritmo era un po’ troppo lento. Però la raffigurazione degli episodi maniacali è dannatamente impeccabile, punto a parer mio focale di “Armand”. Non è una pellicola adatta a tutti, tre stelle su cinque per il film in sé, cinque stelle su cinque per la capacità di mostrarci cos’è l’afflizione causata da degli attacchi paranoici.